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La soluzione alla crisi? Dovete morire prima!

Sembra un articolo assurdo e provocatorio, ma purtroppo è la triste verità.

Ad annunciare questa dichiarazione è Christine Lagarde, Presidente della Banca Centrale Europea (BCE), 65 anni, francese.

La notizia, quando non volutamente nascosta, è passata alquanto inosservata. 

Eppure conferma una volta di più la confusione che regna sotto il cielo dell’economia e soprattutto il buco nero che sta dietro alla crisi degli ultimi anni: lo smantellamento progressivo dello stato sociale.

La BCE sottolinea inoltre che “l’offerta di investimenti sicuri è diminuita di pari passo alla capacità del settore pubblico e privato di produrre servizi di questo tipo”. 

E la causa principale è individuata nella longevità “eccessiva” delle relative popolazioni.

Se l’aspettativa di vita media crescesse di tre anni più di quanto atteso ora entro il 2050, i costi potrebbero aumentare di un ulteriore 50%.

Sul fatto che la maggiore longevità comporti costi maggiori non ci può essere dubbio. 

Oltre una certa età una persona non può e non deve essere obbligato a lavorare, quindi la società si deve assumere l’onere del suo mantenimento in vita in condizioni dignitose (previsto anche dalla Costituzione). 

La questione, quindi non riguarda se la longevità sia un costo o no, ma esclusivamente quale parte della società dovrà pagare questo costo.

Duccio

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Per non morire di acquisti a rate, rivolgiti a Debitori Anonimi

Far parte di una comunità comporta oneri e onori

Acquisti-compulsiviConsente di condividere esperienze e migliorarsi grazie al confronto e al dialogo, ma, quando il bisogno d’inclusione camuffa scarsa stima di sé e fragilità psicologica, si rischia di cadere vittima di comportamenti autodistruttivi.
Ciò succede, ad esempio, quando la collettività propone in modo spasmodico e/o impone un’immagine di successo e realizzazione estremizzata e spinta all’eccesso. Se veniamo martellati da messaggi che ci sollecitano a essere costantemente reattivi, efficienti e produttivi, la pressione può farsi insostenibile, e tramutare in realtà l’eventualità di ricorrere ad aiuti esterni e artificiali per ottimizzare il nostro “rendimento” sociale.  Capita così di cadere nel vortice della droga, dell’alcool … o degli acquisti compulsivi.
 

Sono, quindi compro (?)

Il marketing, si sa, è orientato a farci spendere tutto il possibile acquistando anche ciò di cui non abbiamo bisogno; tuttavia, nel corso dei decenni, le sue tecniche si sono particolarmente affinate, diventando incredibilmente sofisticate. Se quindi in passato i messaggi pubblicitari erano particolarmente aggressivi e diretti, dopo che il consumatore si è fatto più smaliziato, in un certo senso immunizzandosi, le strategie sono diventate sempre più capillari, complice lo sviluppo mirato di specifiche settori della psicologia. 
 

Una “leva” particolarmente utilizzata per indurre all’acquisto è la possibilità di pagare a rate

Detto strumento viene spesso, metaforicamente parlando, sventolato davanti agli occhi del consumatore con sapienza quasi seduttiva. 
Saldare in più tranche l’eventuale debito finisce per rappresentare una dolce lusinga, l’illusione tangibile di poter ottenere senza sforzo tutto ciò che si desidera. 
È esattamente questo l’aspetto su cui lavorano le vittime degli acquisti compulsivi nei gruppi di Debitori Anonimi.
 

“L’esperienza di Alcolisti Anonimi ha aperto una strada”

D.A. nasce infatti dall’esperienza di questi ultimi, e a oggi è presente in cinque città: Roma, Milano, Torino, Genova e Firenze; è inoltre possibile chiedere un consulto telefonico o via Skype. “Essere circondati da persone che vivono i tuoi stessi problemi, che sanno come ti senti, ti dà la forza di smettere di delegare le tue responsabilità, e affrontare le pendenze esistenti. Questo è, in definitiva, il primo passo per ricominciare”. 
 
A parlare è uno dei membri del gruppo Debitori Anonimi del capoluogo ligure. 
 

Qual è il metodo che suggerisce D.A. a chi compie acquisti compulsivi, per gestire in modo corretto i debiti? 

Si consiglia di partecipare ad almeno sei riunioni in due settimane, così da familiarizzare con gli altri membri, condividere la propria esperienza e ascoltare i racconti altrui. 
 
Contestualmente, è bene iniziare a tenere una sorta di diario, in cui annotare tutte le spese sostenute giornalmente, come pure le entrate percepite: solo così, infatti, è possibile avere un quadro esatto e completo del proprio fabbisogno economico
 
A questo punto, come si legge sul sito di Debitori Anonimi, si può chiedere una riunione di decompressione, ovvero un incontro con due membri del gruppo che abbiano già fatto un percorso analogo, e che quindi possano rappresentare un utile supporto per stilare un piano spese e un piano azione. 
 
“Crediamo nel progresso, non nella perfezione”. È questo il motto di Debitori Anonimi, e senz’altro può rappresentare la giusta prospettiva da cui affrontare il problema degli acquisti compulsivi e dell’indebitamento. Accettare la propria condizione di fragilità e vulnerabilità è fondamentale per metabolizzare e superare il senso di vergogna e umiliazione sviluppato nei confronti della propria rete sociale. Prendere consapevolezza dei propri limiti e impegnarsi per smussarli è quindi condizione imprescindibile per recuperare un rapporto sano e soddisfacente con il mondo esterno, e soprattutto con sé stessi. 
 
 
Francesca Garrisi
 

Francesca Garrisi     

Quando le cose non mi divertono, mi ammalo  (H.B.)

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Il cibo da buttare? In Germania lo mettono in vetrina

Raccolta differenziata, banco alimentare, eventi equi

Negli ultimi anni si sono moltiplicate le iniziative verdi: sulla Terra siamo svariati miliardi di persone, quindi ridurre l’impatto sull’ambiente è fondamentale, e significa vigilare in modo costante sulla quantità di rifiuti prodotti. 

TheGoodFoodTeoricamente siamo tutti consapevoli che sprecare cibo, buttarlo quando è ancora commestibile, è un peccato (fuor dall’accezione religiosa del termine), eppure sradicare convinzioni e pregiudizi dal nostro immaginario sembra essere pressoché impossibile.

La Fao (organizzazione delle Nazioni Unite che si occupa di alimentazione e agricoltura) calcola che ogni anno un terzo del cibo prodotto viene buttato. Se ne riutilizzassimo anche solo un quarto, potremmo sfamare 900 milioni di persone. Su tutti, si staglia emblematico un dato: nel commercio al dettaglio la stragrande maggioranza degli alimenti è gettata via perché non (più) appetibile a livello estetico.

A Colonia è nato il primo supermercato tedesco (il terzo in Europa) che vende il cibo altrimenti sprecato, The Good Food. Verdura, birra, ma anche merci non deperibili provenienti dal comparto manifatturiero, e il prezzo è deciso dai clienti, in base a quanto stimano valgano i prodotti ( pay what you think).

“Nessuno vuole buttare via il cibo. Salviamo verdura, alimenti scaduti, e la cosa interessante è che i produttori sono contenti che le loro merci siano consumate. Questo sistema di cooperazione fa vincere tutti”. Così Nicole Klaski, proprietaria di The Good Food.

Come la mettiamo con la data di scadenza degli alimenti?

Nicole KlaskiLa questione non è certo irrilevante ma, come spiega, in generale il termine ultimo di consumo riportato ha valore meramente indicativo, e il prodotto può essere mangiato anche successivamente.

“Ovviamente, nel malaugurato caso che qualcuno si senta male, noi ci assumiamo le nostre responsabilità. Siamo lieti di farlo. È una sfida che vale la pena”.

Fare quadrato per combattere gli sprechi

Sensibilizzare i cittadini a superare le resistenze mentali verso prodotti scaduti o comunque non appetibili esteticamente è importante, ma è solo una faccia del problema. A sottolinearlo è Valentin Thurn, autore e regista del documentario Taste the waste. “Commercializzare le rimanenze non è abbastanza, per contrastare il fenomeno. Dobbiamo affrontare alla radice il problema della sovraproduzione, e per farlo bisogna introdurre una legislazione che condizioni l’economia e i modelli finanziari”. 

 

Francesca Garrisi     

Quando le cose non mi divertono, mi ammalo (H.B.)

 

 

 

 

 

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