Lavorare 2.0

Express Care, la piattaforma web che aiuta i disabili a cercare un assistente

Se dico disabile 

In Italia siamo molto indietro per quanto riguarda "l'incontro" con la disabilità, sia concettualmente che fisicamente. Infatti, la maggioranza delle persone guarda a chi possiede un qualche handicap con pietismo, pensando che sia sufficiente pensare “poverini” per pulirsi la coscienza e continuare tranquillamente con le proprie vite.

Molto raramente (e purtroppo) Le persone disabili vengono considerate come individui che possono, vogliono e hanno il diritto di svolgere una vita normale.  

Allo stesso modo si è molto indietro dal punto di vista delle strutture. Nella nostra penisola non esiste una via di mezzo fra l’aiuto della famiglia di origine e il ricovero in centri specializzati.  

La piattaforma Express Care nasce proprio per colmare questo vuoto, fornendo un servizio efficiente e diretto di incontro fra assistenti e persone bisognose di determinati servizi. 

Express Care, un incontro fruttuoso 

La creazione della piattaforma è avvenuta grazie a Ilaria Faranda, 31 anni,eTania Bocchino, 41 anni, blogger e giornalista malata di atrofia muscolare spinale da quando è nata.  

È stata la seconda a contattare la prima, dopo essere venuta a conoscenza del bando per partecipare al concorso di Enil (European Network of Indipendent Living) Italia.  

L’una, Ilaria, aveva già confidenza con il burocratese. Tania invece è una sognatrice in piena regola, con il giusto entusiasmo e determinazione. Entrambe le caratteristiche sono necessarie per raggiungere un obiettivo di tale portata. 

Dopo un’attenta disamina dei vari problemi di fronte ai quali si può trovare un disabile, le due hanno scelto di focalizzarsi sulla difficoltà di selezionare la tipologia di assistenza giusta. E nel frattempo, agire su un cambio di prospettiva, in modo che anche i disabili vengano riconosciuti come datori di lavoro e, come tali, con il diritto di scegliere la persona più professionalmente adatta a loro. 

Spesso le persone che si presentano per questa tipologia di impiego o sono alla prima esperienza oppure lo utilizzano come ripiego per non aver trovato una professione più soddisfacente.  

Per questo c’è bisogno di formare gli assistenti, sia concretamente che mentalmente. Ogni assistito deve essere pronto a far capire le proprie esigenze specifiche e, a loro volta, gli assistenti devono porsi con il giusto approccio mentale e determinate competenze. 

Infatti, grazie a Express Care, sono nati i corsi per assistenza, tentuti direttamente da persone con questo tipo di problematiche.

Nello stesso tempo, lo scopo è dare una maggiore dignità al lavoro di assistenza, meno riconosciuto rispetto al medico, all’infermiere o agli OSS.  

Un ulteriore problema è anche dove cercare i candidati assistenti, soprattutto in caso di bisogni imprevisti. Il web infatti è pieno di annunci caotici, poco chiari e uno uguale all’altro.  

Come funziona  Express Care 

Grazie a pochi tap sullo smartphone, si apre una mappa delle persone disponibili all'assistenza nel quartiere come orari, vicinanza, appartenenza o meno a un’associazione, se gratis o a pagamento. 

Si possono anche vedere i feedback che rilasciano gli utenti che hanno lavorato in precedenza con quella persona. 

Express Care si prodiga per aumentare la consapevolezza del problema, ma c’è ancora tanto da portare avanti. In altri Paesi, come Svezia o Slovenia, è normale che lo Stato garantisca dei fondi per assumere assistenti necessari a coprire le 24 ore di una giornata. 

In Italia c’è ancora un sistema familista, che dà per scontato che siano genitori o parenti a farsi carico dei bisogni assistenziali dei disabili, quando non è per niente scontato. La persona con disabilità deve avere la libertà di scegliere se restare o meno nel nucleo familiare d’origine o emanciparsi.  

Il sito ha già ottenuto ottimi riscontri, nonostante sia stato lanciato da pochissimo. Il servizio al momento è attivo a Bologna, ma l’obiettivo è allargarsi anche ad altre città. 

D’altronde, se la civiltà di un popolo si misura da come vengono trattate le minoranze, c’è ancora tanta strada da fare. 

Ma le punte di diamante esistono e vanno supportate.  

 

Irene Caltabiano 


 

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Sharryland, l’app che sostiene il turismo “a casa tua”

Cosa si fa il finesettimana?

 

Soprattutto in estate, già dal lunedì si comincia a pensare alla prossima meta del weekend. E dal 2018 in poi, causa Covid e ahimè, anche minori entrate, un più 20% del popolo nazionale sceglie la gita fuori porta in giornata, massimo con un pernottamento.  

 

In tante piattaforme hanno captato l’esigenza e la conseguente domanda di una certa tipologia di turismo e hanno elaborato un sistema che connettesse i turisti alle associazioni, ai privati o agli enti che gravitano nel settore del turismo esperienziale.  

La risposta più esaustiva è evidentemente arrivata con Sharryland, nata nel novembre 2017, che aggrega tutte le proposte paesaggistiche e non del territorio italiano, soprattutto quelle meno scontate.  

 

Una panoramica chiara di luoghi ed eventi, con dettagli su chi organizza, eventuale costo, tipologia di tour, esperienza, numero di partecipanti.  

 

Come funziona Sharryland 

 

I “tre di Sharryland”, Luigi Alberton, Maria Cristina Leardini e Paolo Bernardini hanno come obiettivo valorizzare i territori secondari e la creazione di occasioni di incontro, accorpando in un’unica piattaforma tutte le informazioni che si trovano sul web senza soluzione di continuità.  

Le esperienze e i luoghi proposti sono al di fuori dei soliti giri, alla scoperta di strutture, paesaggi e monumenti insoliti. 

 

«Forniamo strumenti innovativi e aggreganti non solo a chi cerca idee e ispirazioni per il tempo libero, ma anche a chiunque voglia promuovere le meraviglie nascoste d’Italia. A chi dà impulso all’incontro tra le persone e mette in campo i suoi talenti per offrire esperienze di qualità. A chi intende creare reti tra le tante realtà d'eccellenza che quotidianamente si spendono per la tutela e la valorizzazione dei loro territori» spiega Alberton. 

 

La “Mappa delle Meraviglie”, come viene denominata sulla piattaforma, è pubblica e liberamente consultabile senza obbligo di registrazione; mediante account gratuito, invece, gli utenti possono diventare Sharrylander, ovvero trovare ispirazioni “su misura”, utilizzare gli strumenti social per condividere le loro meraviglie, foto e commenti, incontrando persone con gli stessi interessi o accedere a servizi utili nelle vicinanze. L'utente può, così, essere al tempo stesso fruitore e creatore di contenuti.  

 

«Vogliamo creare una grande mappa delle meraviglie d'Italia. Siamo alla ricerca di storyteller da tutta la penisola, che sappiano raccontare i loro luoghi del cuore» afferma Leardini.

 

Il business model di Sharryland

Gli introiti della piattaforma si basa su varie fonti. I servizi adv, di pagamento per prenotazioni e acquisti, su cui SharryLand ha una percentuale a ogni transazione, e di big data analytics, ma anche accordi e sinergie, come quella con Fondazione Cariplo.  

 

Una cinquantina di piccoli investitori hanno inoltre già sottoscritto in aumento di capitale di 650mila euro. Gli operatori economici pagano, infatti, un abbonamento annuale di 50 euro per i servizi della piattaforma e una tassa del 5% sul valore delle transazioni.  

È stata inoltre creata una nuova piattaforma chiamata Sharrygoal, app correlata a Sharryland che dovrebbe aiutare a verificare e a trovare mezzi pubblici e non per arrivare ai luoghi prescelti.  

 

«Il prossimo passo sarà quello di diventare glocal. Rilasceremo presto la versione multilingua della piattaforma per i turisti stranieri, e metteremo così in relazione i professionisti e i prodotti del nostro Paese con il resto del mondo». 

 

 

 

di Irene Caltabiano

 

 

 


 

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PicoBrew: un business vincente, dal pub itinerante al formaggio homemade

In principio fu PicoBrew

picobrewMetti tre ragazzi amanti della birra e della bicicletta.

Aggiungici la voglia di rendere concreta un’idea imprenditoriale, con tanto impegno e passione.

Il risultatpo è PicoBrew, un pub itinerante sul Naviglio Grande, Milano. Pietro Tognoni, Jacopo Volontè e Milo Madìa sono i tre “moschettieri” che hanno deciso di rivoluzionare il concetto di pub, regalandogli una dimensione dinamica e ancora più informale. 

Luppolo mon amour

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L’amore di Pietro per la birra ha radici lontane. 

La sua tesina di maturità si concentra infatti sull’autoproduzione di birra. Un elaborato che diventa spunto per scegliere la facoltà universitaria, ovvero Scienze e tecnologie alimentari

Dalla comprensione di alcuni processi, Pietro passa a produrre birra in un’azienda agricola poco fuori Milano, un impianto professionale da 100 litri da cui nascono le prime PicoBrew destinate alla vendita

Jacopo e Milo, amici di lunga data, sposano quasi immediatamente il progetto. PicoBrew corrisponde a un modo di “vivere la birra”, ovvero non necessariamente seduti al tavolo di un bar ma chiacchierando, all’aperto, dove la clientela è molto variegata: dal turista, allo studente universitario, al lavoratore di fine giornata. 

«Un pub itinerante fa sì che siano le persone a fermarsi e non il contrario. Lo vediamo come un nuovo modo di vivere l'esperienza della birretta tra amici, colleghi o anche da soli, più dinamico. Siamo noi a contatto con le persone e in mezzo alla strada e la gente se vuole si ferma».

Il vantaggio è ovviamente potersi spostare in più punti della città, creando una situazione informale, in cui si può socializzare, soprattutto durante i mesi più caldi. 

Le birre prodotte si ispirano al mondo tedesco e ceco. C’è una Pils, la Eger, una Schwarz, che si chiama Schwarzeneger (con la faccia di Arnold sulla bottiglia). Poi una Bock, a bassa fermentazione, una Season con le spezie, e altre stagionali come la Primavera e la Marron Fumè.  

PicoBrew station e PiCheese

picheeseL’idea del pub itinerante ha avuto un tale successo da spingere il magico trio a cercare una casa più stabile e diventare un locale, sempre in zona Navigli, anche per evitare le intemperie metereologiche. L’apertura del PicoBrew station è stata accompagnata da un nuovo progetto, PiCheese, che prevede l’incontro tra mondo della birra e mondo dei formaggi.

Dall’homebrewing si è dunque passati all’Home cheesing. I formaggi prodotti dalla PicoBrew vengono prevalentemente venduti in sede, dove è possibile acquistarli anche per l’asporto su ordinazione. 

I prodotti sono principalmente tre. Lo Scimunit, dalla pasta morbida e dolce, sempre più saporito con l’avanzare della stagionatura, la Picorobiola, formaggio fresco a latte crudo, con uno spunto acido che la rende ottima per molti abbinamenti culinari e infine la Picorobiola stagionata che con la crescita di muffe bianche aumenta la sua complessità aromatica.

Il connubio birra formaggio si è concretizzato in diversi corsi, dalla tecnica e pratica della produzione della birra in casa a quelli per la produzione domestica di formaggio. Infine, è possibile avere anche una conoscenza più ampia, con i corsi di abbinamento formaggio e birra. 

La PicoBrew è la dimostrazione che, attraverso l’amore e la costante attenzione, si possono raggiungere grossi risultati. Da un pub itinerante a una produzione autonoma di prodotti, con tanti altri obiettivi futuri. 

«Vorrei sperimentare la “Tutte Gose” dove si utilizza la tecnica del Sour. Si utilizzano i fermenti lattici del formaggio per la produzione di birra» ha rivelato Pietro al Giornale della birra, quotidiano online. «Inoltre, vorrei anche continuare con la lavorazione dei formaggi in crosta di malto, affinare le forme nelle birre. Sono produzioni per eventi speciali come, ad esempio, “Scimunit” – Caffellatte».

 

di  Irene Caltabiano


 

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