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Klick’s On Ways: 250 km per ribadire l’universale diritto a viaggiare accessibile

Qual è il discrimine decisivo tra un sogno destinato a rimanere tale, ed uno che può diventare realtà, trasformando chi lo agisce?

La capacità di darsi tempo, e la sincera curiosità/desiderio di comprensione dell’Altro, che scaturiscono dalla concezione dinamica e permeabile dei (propri) limiti. È nato così Klick’s On Ways, viaggio in otto tappe che sta coinvolgendo un gruppo di persone con mobilità ridotta. Sono partite da Fidenza (Parma) lo scorso 28 maggio, e, dopo aver attraversato l’Emilia per un totale di 250 chilometri, arriveranno al Centro Riabilitativo di Montecatone (Bologna), polo d’eccellenza per la riabilitazione di chi ha subito lezioni midollari e cerebrali; la conclusione del percorso è prevista per il prossimo 4 giugno.

Perchè Klick’s On Ways?

Klick's On Ways Il nome è dovuto a Klaxon Klick, propulsore elettrico che, agganciato ad una carrozzina, permette alle persone con mobilità ridotta di muoversi sui terreni accidentati, a forte pendenza e/o scarsa aderenza.

Utilizzando Klaxon Klick, il 43enne Pietro Scidurlo (fondatore di Free Wheels che ha fatto per due volte il Cammino di Santiago) sta sperimentando nuovi percorsi lungo l’Emilia, insieme ad altri viaggiatori a mobilità ridotta (Pietro, Michele, Emanuele, Manuel e Ignazio). L’intento è individuare e mettere a punto direttrici finora inedite, ma alla portata di chiunque deve convivere con una forma di disabilità.

La prima edizione di Klick’s On Ways è in pieno svolgimento, ma Pietro Scidurlo guarda avanti, a quelle che verranno. E probabilmente più velocemente di quanto si potrebbe pensare, considerando che già otto regioni si sono rese disponibili a collaborare.

Klick's On WaysIntanto, però, l’obiettivo a breve termine è raggiungere il Centro Riabilitativo di Montecatone, luogo simbolo delle molteplici e inattese possibilità di nuovi inizi che la vita offre, perfino quando, ad una prima occhiata, sembra tutto perso.

Ugualmente emblematico è il luogo scelto come punto di partenza: Fidenza infatti è lo snodo della Via Francigena, tragitto lungo più di 3000 km che collega Canterbury a Santa Maria di Leuca (Lecce).

 

 

Francesca Garrisi     

Quando le cose non mi divertono, mi ammalo  (H.B.)

 

 

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Perchè NON sentirsi indispensabili e (troppo) impegnati è una benedizione

Chi non ha (mai avuto) un amico stile Barone Rosso?

Inafferrabile in quanto impegnatissimo. Poco convincente nel tentativo di dissimulare l’autocompiacimento per la sua agenda traboccante di impegni (?) dietro al flebile dispiacere di non vederci.

Che tu gli proponga una gita fuoriporta domenicale, una pizza infrasettimanale, o un semplice caffè post-ufficio, poco importa: la sua risposta è sempre la stessa: “guarda, mi farebbe tantissimo piacere, ma…”

Poi apri il suo profilo social, e ti accorgi che, a parte le ore trascorse al lavoro, condivide continuamente post di qualunque tipo. E la domanda – o meglio, la constatazione – sorge spontanea: e questa sarebbe la persona che ha mille ed una cose da fare?”. Quasi sempre segue il ridimensionamento del rapporto, o il definitivo allontanamento: nessuno vorrebbe scoprire che un presunto amico rinunci alla sua compagnia non per mancanza di tempo, bensì di voglia, preferendogli, addirittura, l’ozio sterile.

La tendenza a rappresentarsi al mondo oberati di impegni pur non essendolo ha un nome ben preciso: busy bragging, espressione inglese che traduce letteralmente questo comportamento (occupato a vantarsi).

Busy bragging: può essere involontario?

Busy-braggingLa risposta è sì: viviamo infatti in un momento storico in cui chi ha (molto) tempo libero viene guardato con un misto di commiserazione e disprezzo, in quanto etichettato come loser. Così, non essere sottoposto ad un bombardamento quotidiano di telefonate, email, commenti social significa non valere un granché.

Tuttavia, per svincolarsi da questo inganno è sufficiente porsi poche domande: quante ore dormo a notte? Quante volte a settimana riesco a vedere amici e parenti? Guardo la tv regolarmente?

Le risposte potrebbero stupirci: una rapida “autodiagnosi” potrebbe dimostrarci che, nonostante percepiamo la nostra vita quasi claustrofobica, dormiamo 7-8 ore a notte, incontriamo spesso le persone care, e siamo aggiornati sui reality e le serie più popolari del momento.

Non sono così impegnato come credevo: e adesso?

Il passo successivo a questa sorta di test non è quello che potremmo pensare. Avere un po’ di tempo libero, riposare a sufficienza e riuscire a rilassarsi NON sono colpe o disfunzioni da correggere.  Al contrario, sono abitudini sane da presidiare, coltivare ed a cui affiancare un ulteriore elemento: prendersi del tempo per non fare nulla. Silenziare il cellulare, spegnere la tv, e, semplicemente lasciar fluire le proprie emozioni. Ascoltarle ed abbracciarle. Anche per diventare impermeabili al dilagare tossico del busy bragging.

La redazione 

 

Francesca Garrisi     

Quando le cose non mi divertono, mi ammalo  (H.B.)

 

 

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Perché (e come) dovremmo liberarci della paura del silenzio

Il concetto di vuoto, nell’immaginario collettivo, ha una valenza fortemente negativa

Elogio-silenzio

“Da quando X mi ha lasciata, la mia vita è diventata vuota”

 

“Quando chiudo la porta dietro di me, la sera, il vuoto mi assale. Il peso della solitudine è insostenibile”

“Quando non ho niente da fare, mi viene l’angoscia. Detesto il vuoto: non mi piace annoiarmi”

Eppure, vuoto NON vuol dire necessariamente malessere, perché pieno NON è sempre e comunque sinonimo di felicità: può significare, invece, sovraccarico/indigestione (letterale e metaforica).

Vuoto equivale a silenzio, libertà, distacco dagli stimoli esterni: un’ottima base per la salute fisica/mentale, lo sviluppo cognitivo e l’equilibrio emotivo.

Dove c’è rumore c’è vita? Forse, ma non quella che desideri davvero

Rumore-follaProdurre, socializzare, sfoggiare una forma fisica invidiabile sono solo alcuni degli obiettivi con cui i media tradizionali ed i social ci bombardano con più insistenza. Così, ci convinciamo che siano quello di cui abbiamo più bisogno per sentirci soddisfatti e realizzati…e ci costringiamo a frequentare luoghi traboccanti di persone.

Il primo e più sicuro effetto che otteniamo, però, è quello di tornare a casa esausti, e pervasi da una sensazione di inadeguatezza sempre più forte: il silenzio diventa uno spauracchio, perché si accendono i riflettori sui nostri pensieri ed emozioni. Siamo obbligati a stare con noi stessi, ed ovviamente la compagnia di qualcuno che è completamente scarico non può essere piacevole…

Perché il rumore è nemico della salute

Il bombardamento di stimoli acustici danneggia il corpo e lo spirito: una serie di studi effettuati nel 2003 e nel 2006 ha infatti dimostrato che l’esposizione sistematica al rumore aumenta le pulsazioni e la pressione, con il rischio di sviluppare patologie cardiovascolari.

Alcune ricerche condotte nel 2021 hanno rilevato che il frastuono incide direttamente sui livelli di cortisolo, l’ormone dello stress, nel sangue.

…e perché dovremmo ritagliarci degli spazi di silenzio

Elogio-silenzioSilenzio vuol dire concentrazione, raccoglimento e sviluppo della creatività. Perciò è importante ricercarlo attivamente durante la giornata: bastano pochi minuti con noi stessi per contestualizzare (e ridimensionare) problemi ed ansie, mettere a fuoco quelle che percepiamo davvero come priorità, e prendere le distanze dai (pre) giudizi e dalle indebite pressioni esterne.

Il luogo e il momento migliore per starsene il silenzio? Sta a noi sceglierlo, in base a come si articola la nostra routine…e difenderlo. L’imprevisto capace di fomentare l'ipertrofico senso del dovere è sempre in agguato, e non aspetta altro che distoglierci, ancora, da ciò che sentiamo l’esigenza di fare per noi, “solo” per noi.

 

 

 

Francesca Garrisi     

Quando le cose non mi divertono, mi ammalo  (H.B.)

 

 

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