Se inizi, si comincia. Banzai!

Anche se non ti va, basta un minuto

Ogni cosa ha un inizio e una fine, eppure ci sono persone che non cominciano mai, non intraprendono nulla, non fanno niente, neanche un passo per iniziare. Ma che problema hanno? O forse, anestetizzati dalla troppa pigrizia, questo problema nemmeno se lo pongono. E certo, ma sai che fatica! Verrebbe da pensare che persone così non siano animate da nulla che le spinga ad agire.

L’Iniziato inanimato

A pensarci, prendere delle iniziative è uno sforzo che implica dei costi energetici in termini di fatica. Dare inizio a qualcosa comporta la presenza partecipativa di una persona ‘animata’ da una certa volontà realizzativa. Ma che spreco dico io! Meglio la forma passiva del verbo, ossia  l’essere iniziati. Se nulla mi anima a tal punto da farmi agire, è tanto più comodo se mi faccio (ri)animare no? E dire che l’iniziato era qualcuno che veniva avviato alla conoscenza o alla pratica (ma per carità!) di un culto.

Colui che mai incomincia abita un castello di cemento

 

 E così tu, pigro iniziato e inanimato, te ne rimani beatamente murato, nell’anonimato del tuo ‘castello interiore’. La propensione all’agire rappresenta per te un pericolo contro il quale erigere muri che bloccano l’ingresso alla vita in tutte le sue possibili forme e stimoli. Così, dentro le mura della sua pericolosa comodità, colui che mai incomincia, staziona deluso e cementificato. Gli basta quel poco che ha, è disincantato, per nulla vale la gioia muoversi, e quanta stanchezza e difficoltà. Ma un rimedio a tutto questo c’è.

Nessuna falsa partenza

Pietrificato nella sua fortezza di paura e dolore, il diversamente cominciante, si adagia sicuro ma soffre altrettanto. Le sue emozioni e sentimenti sono impantanati nella sua incapacità a esprimerli e la frustrazione regna e impera. Che vitaccia e quanta stanchezza poi! Sono d’accordo, è inutile sforzarsi, tanto non si arriva mai a nulla. Basterebbe avere, almeno, l’onestà e la compiacenza di ammettere che non siamo proprio partiti! C’è chi fa, e c’è chi non fa. Non dico che chi non agisca sia più felice e viva meglio, nemmeno che chi lo faccia non incontri ostacoli  e scomodità per conseguire i suoi obiettivi. Sono due attitudini diverse al vivere. Tuttavia anche la tartaruga, lentamente e a piccoli passi, percorre distante e raggiunge mete.

Tartaruga o kamikaze?

C’è chi si muove temerario, spinto dal soffio di un vento (kaze) divino (kami) e chi, non animato da alcuna i(n)spirazione, stagna nel suo brodo di frustrazione, a morto  a galla. Ci vuole una via di mezzo che conduca all’azione. Queste sono due tipologie di persone portate all’estremo. O sei kamikaze, o sei tartaruga. La soluzione è fare il kami-kaizen.

Il Kami-Kaizen

Il kaizen (kai = cambiamento/miglioramento e zen= buono) è un metodo giapponese che ti porta a cambiare in meglio migliorando di continuo. Che si fa? Si esegue per  sessanta secondi al giorno l’azione che si tende a procrastinare e che genera frustrazione. E’ quindi un prendere confidenza (falla sta fatica!) con una piccola frustrazione, quotidianamente, per renderla più tollerabile e gestibile. La meta è così raggiunta a piccoli passi. L’azione poco gradita diventa, piano piano, più sostenibile e non c’è più bisogno di rimandarla o motivo per non provare.

Inizi con poco e ti ritrovi a fare l’impossibile

Poco ma buono diventa molto e spesso. Roma non è stata mica costruita in un giorno, figurati se tu, vittima di cotanta atavica pigrizia, non puoi raggiungere le porte del castello! Forza muoviti e comincia a uscire dalle quattro mura della tua gabbia. Un po’ oggi, un po’ domani, agganci la realtà e sei più solido e concreto nella volontà e disciplina. Alle brutte brutte, comincia con qualcosa che ti piace, il piacere non richiede sforzo, e poi datti a qualcosa di meno piacevole. Se all’inizio a kamikaze nelle cose non ti lancerai, intraprendi lo stesso il tuo minuto. Leva alto il tuo grido: ‘banzai!!’.

di Laura Pugliese

 
 

 

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