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I racconti di chi ha cambiato vita ✌

Conosci le lingue e sei un asso nel tuo campo? La Costa del Sol ti sta cercando

L’insoddisfazione verso la vita che conduciamo, per quanto sembri strano, può essere una benedizione, e non automaticamente una condanna

È il salvifico campanello d’allarme che ci fa capire che serve una sterzata (se non proprio un’inversione di rotta), ma diventa un pericoloso boomerang se non si traduce in azioni propositive, fattive, e dotate di una strategia complessiva.

Stefano Piergiovanni (Viviallestero.com) su Costa del SolChe fare, ad esempio, se in Italia non ci sentiamo più a casa, ma al tempo stesso i Paesi del Nord Europa, a dispetto della decantata efficienza, non ci ispirano particolare fiducia né esercitano su di noi alcun attrattiva? Banalmente, i fattori climatici possono giocare un ruolo rilevante: l’influenza sulle attività quotidiane è infatti considerevole. Peraltro, non sempre siamo preparati a confrontarci con culture estremamente distanti dalla nostra.

Così, può rendersi necessario trovare una soluzione intermedia, che concili un contesto geografico familiare, o perlomeno non troppo diverso da quello d’ origine, con un tessuto sociale accogliente e inclusivo. Un luogo dove non si paghi lo scotto della frenesia e dell’incuria umana indotta dal mix letale tra globalizzazione disordinata e crescente precarietà professionale. In tal senso, la Costa del Sol può rappresentare una meta particolarmente ghiotta.

Perché sceglierla?

Stefano Piergiovanni (Viviallestero.com) su Costa del SolTanto per cominciare, la provincia di Malaga viene annoverata tra i dieci luoghi più appetibili dal punto di vista geografico. Il merito è del microclima locale, che mescola elementi dell’area mediterranea e di quella sub-tropicale. La luce e il sole, costanti durante l’anno, contribuiscono a rendere le persone cordiali e rilassate, disponibili a interagire con l’altro, anche a dispetto dell’alto tasso di disoccupazione.

A tenere alto il morale della comunità contribuiscono peraltro le istituzioni, che si impegnano su più fronti: non solo, infatti, supportano materialmente gli strati più disagiati fornendo concrete opportunità di qualificazione e reinserimento, ma garantiscono anche infrastrutture di qualità. Trasporti, complessi fieristici, e non solo. Una menzione speciale merita il comparto sanitario, in virtù dell’elevata presenza in loco di inglesi, tedeschi, e scandinavi, che desiderano, ovviamente, ritrovare gli standard a cui sono stati abituati in patria.

Come evitare facili abbagli

Stefano Piergiovanni (Viviallestero.com) su Costa del SolIn termini umani la Costa del Sol rappresenta sicuramente un luogo allettante e promettente, ma prima di decidere di lasciare l’Italia per questo lembo di Spagna è consigliabile valutare attentamente anche l’altra faccia della medaglia. L’alto tasso di disoccupazione determina infatti un affollamento del mercato del lavoro dal lato della domanda, dunque, per vincere la concorrenza, è necessario offrire un ventaglio ampio e diversificato di competenze. Il mix ideale è quello tra elevato grado di specializzazione nel proprio settore e conoscenza di almeno due lingue straniere (inglese e spagnolo).  Se poi si “mastica” anche tedesco, olandese o lingue scandinave si può vantare un considerevole vantaggio competitivo.

Stefano Piergiovanni (Viviallestero.com) su Costa del SolChi desidera aprire un’attività in proprio dovrebbe approdare in Costa del Sol dopo aver definito, perlomeno a grandi linee, gli step da seguire. L’improvvisazione, per i motivi succitati, rischia infatti di rivelarsi improduttiva e anche dispersiva dal punto di vista economico. Inoltre, laddove sia necessario collaborare con qualcuno che già opera in loco, è meglio diffidare di chi minimizza i problemi da affrontare, o addirittura si guarda bene dal menzionarli e prospetta un quadro idilliaco: i professionisti si riconoscono dall’oculatezza, dalla prudenza ... e dai costi equi.

 
 
 
 
 
 
Vuoi scoprire quali sono i profili professionali più ricercati in Costa del Sol? Guarda il video di Stefano Piergiovanni (Vivi all'estero.com)
 
 
 
 
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Volontariato in Bolivia: el Hormigon armado di La Paz

Solidarietà nella metropoli più alta del mondo

Volontario_in_BoliviaSono arrivata a La Paz dopo circa 6000 km in bici e 4000 miglia nautiche, spinta prevalentemente dal vento, dai miei muscoli e dai loro umori. Qui, fortunatamente, c’era il mio migliore amico ad aspettarmi. Ho conosciuto Jaime in Nuova Zelanda circa un decennio fa, l'ho rivisto in Laos (dove abbiamo vissuto insieme per un paio d’anni) e ora finalmente di nuovo al mio fianco in cima all’altipiano andino.

Vivere in una fabbrica di biscotti

Anche a Sopocachi siamo coinquilini da circa tre mesi, in una fabbrica di biscotti; mentre le madri sfornano, io curo i figli, che altrimenti non saprebbero dove lasciare. Da questi simpaticissimi bambini, poveri ma felici, ho tantissimo da imparare.  La fabbrica è solo uno dei diversi progetti nati dalla fondazione Hormigon Armado ( Cemento Armato), creata appunto dalla famiglia di Jaime. Si occupano di aiutare i lustrascarpe della metropoli più alta del mondo, insieme alle loro famiglie. 

 

Perchè proprio i lustra scarpe?

BOLIVIA

Dovete sapere che se lo stipendio boliviano medio è di circa 400$ al mese, un lustra scarpe a La Paz è in grado di guadagnarne circa la metà. E magari, con quei soldi, deve anche mantenere diversi figli. Inoltre verso la loro categoria c’è  molto pregiudizio, tanto che sono costretti a lavorare nascosti dietro a un passamontagna per non farsi riconoscere da eventuali amici, compagni di classe o parenti. Sì, perché alcuni di loro, ci provano ad avere una vita normale: vanno a scuola, hanno la ragazza e magari anche un tetto sotto il quale addormentarsi la sera; altri invece, purtroppo, si sono arresi alle regole della strada. Dormono nelle cabine telefoniche, sulle panchine, sotto ai ponti e una volta calato il sole sprofondano le narici nei vapori della colla per dimenticarsi le loro condizioni.

Gli eroi della calle

BoliviaLavorando con Hormigon Armado li ho potuti conoscere tutti. Hanno dai quattordici ai trent'anni. Non è facile che riescano a sopravvivere oltre. I loro volti, sotto allo spesso strato di lana, sono ricoperti da cicatrici lasciate dalla polizia che li prende sempre di mira; ciò nonostante gli occhi sono ancora pieni di speranza. Gli piace cantare per strada le loro storie, con un sottofondo rap, e sognano di avere una vita normale e una dignità. Li aiutiamo stampando un giornale bimestrale in cui si parla di temi sociali e tra le righe si possono leggere alcune storie scritte dai lustrascarpe in persona. Nel caso siano analfabeti, li aiutiamo noi volontari dopo averli intervistati.  Il giornale gli viene consegnato gratuitamente e loro possono tenersi interamente il guadagno.

 Inoltre abbiamo creato un “tour dei lustra”, così i turisti che arrivano nella capitale possono lasciarsi guidare per  la città labirinto dai nostri eroi della calle. Un' escursione di un paio d’ore che raccomando vivamente ad ogni visitatore giunto a La Paz per vedere la città da una prospettiva diversa, emozionarsi ascoltando le storie delle guide, fare del bene e conoscere zone che altrimenti non vedrebbero mai.

Interessati a un'esperienza simile?

Bolivia

La Bolivia non è un paese dove consiglio di venire a lavorare, se l'intenzione è mettere da parte qualche soldo per continuare il viaggio. Il costo della vita è basso ma lo sono anche gli stipendi. Invece, se si ha qualcosa da parte, è un luogo ideale per venire a fare volontariato, e di volontari, qui ce n’è sempre bisogno. Hormigon Armado non paga i volontari ma non li fa nemmeno pagare e lavorando con loro, oltre a fare del bene, ci si porta via un gran bagaglio d’esperienza. Se interessati, si può fare domanda rivolgendosi direttamente a jaimevillalobos2@gmail.com  (questo è il loro sito https://hormigon-armado.wixsite.com/lustrabotas/hormigon-armado-eng).

 La conoscenza della lingua aiuta, ma non è fondamentale.  La Paz non è una città particolarmente sicura, e non consiglierei di girare da soli dopo il calar del sole ( soprattutto nella zona di El Alto). Altri quartieri centrali però, come ad esempio Sopocachi, anche a detta dei miei amici boliviani, sono relativamente tranquilli, ben collegati e offrono molte possibilità di svago, tra attività sportive e locali alternativi! (A Sopocachi raccomando la palestra Spazio, che ha addirittura il DJ, e il locale notturno “la Costilla de Adàn", con ottima musica e dall’atmosfera molto bohémienne!) 

di Darinka Montico

Blogger, traveller e autrice di libri

 

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Il mio Laos (parte 2): aprire un ristorante

Cibo, amore e fantasia

Dopo aver insegnato per un anno alle elementari ( vedi Il mio Laos-parte 1. I viaggi di Darinka Montico),nell’unico paese del Sud-Est asiatico non bagnato dal mare, ero ormai assuefatta ai suo modi gentili e al suo ritmo lento e decisi di imbarcarmi per una nuova avventura. Il mio ex compagno aveva appena aperto un'attività di tour operator e vendeva pacchetti di viaggio a turisti, per lo più italiani e inglesi. In queste offerte era spesso incluso un pranzo a Vientiane, la tranquillissima capitale, dove vivevamo. Ci venne dunque in mente che se avessimo aperto un ristorante tutto nostro avremmo potuto guadagnare qualcosa in più.

Girammo Vientiane in lungo e in largo finché entrambi c’innamorammo di una vecchia casa di legno a due passi dal fiume Mekong. Non era abitata e giravano leggende che si trattasse di  un' antica casa chiusa. La fascinazione era alle stelle! Ci sarebbero stati parecchi lavori di ristrutturazione da fare ma riuscimmo a contattare la proprietaria. Il prezzo dell’affitto, considerata la dimensione, il giardino e la “location”, era ottimo.

Aprire "un cestino da riso"

 Iniziammo gli aggiustamenti e trasformammo quest’antico rudere, con un profumato albero di  frangipane all’ingresso, in laos-2-formica-argentinaun semplice e grazioso ristorante. Appesi agli alberi del patio tantissimi cestini di malacca (rattan, un tipo di palma),  contenitori in cui tradizionalmente si serve il riso appiccicoso tipico di Laos e Tailandia, e ci misi delle candele dentro. Chiamammo il locale Kong Khaoappunto cestino da riso. Per quanto riguarda il lato burocratico, per uno straniero è complicatissimo, se non impossibile, aprire un attività commerciale in Laos. Fortunatamente invece girare intorno a queste gabole legali è relativamente semplice. Basta trovare un laotiano affidabile che faccia da prestanome e successivamente rendersi impiegati, così da ottenere anche un visto lavorativo e una carta d’identità laotiana.

Il Laos è un paese comunista in cui però la religione è sempre stata molto presente. Il buddismo di oggi porta in grembo ancora molte tracce dell’animismo precedente. Ogni edificio infatti, compreso il mio ristorante,  ha nel suo giardino una piccola casa in miniatura, o “tempio per gli spiriti degli antenati” e ogni giorno bisogna offrire piccoli doni per mantenerli felici e fare in modo che tutto vada per il verso giusto. Io stessa mi abituai a portare incensi e fiori freschi ogni mattina, la mia chef invece, più pragmaticamente,  preferiva offrirgli lattine di coca cola e pacchetti di sigarette. Per stabilire la data di apertura contattai i monaci del tempio più vicino per chiedergli di organizzare un bassi, una specie di cerimonia di benedizione. In base al calendario lunare decisero la data più propizia. Così invitammo parenti e amici e, tutti seduti sul pavimento di legno mentre i monaci pregavano davanti a un altare di offerte, ci scambiavamo l’un l’altro piccoli fili di lana legandoceli ai polsi. Nel frattempo pronunciavamo parole di buon auspicio, ognuno nella sua lingua.

Il Carnevale del Laos

Subito dopo aver aperto ci rendemmo conto però che i soli clienti dell’agenzia non sarebbero stati sufficientiper mandare avanti la baracca. La mia idea fu creare un locale alternativo, con musica dal vivo, jam session, arte ed eventi culturali. Qualcosa che, in una città senza nemmeno un cinema o un teatro, ritenevo indispensabile. Organizzai una festa per farci conoscere in questo senso, tappezzai l’intera città di poster. Erano i giorni del carnevale europeo e nonostante tale festività non esista in Laos, decisi di mantenere il tema. 

Investimmo i nostri ultimi averi in un sound system e una spillatrice di birra e con le dita incrociate rimanemmo sulla porta aspettando gli avventori, che, come indicato, sarebbero dovuti presentarsi verso le 20.00. Alle 21.00 eravamo in quattro ed ero sul punto di piangere, ma, come non mi stancherò mai di ripetere, in Laos i ritmi sono molto rilassati. Alle 22.00 avevamo il giardino pieno di trecento persone, cristiani e non, travestiti chi da Ho chi Minh e chi da Cleopatra, che si dimenavano sotto al nostro bell’albero di frangipani! 

Da quel giorno Kong Khao divenne uno dei ristoranti meglio frequentati della capitale. Grazie alle raccolte fondi che lanciavo,  per lo più aste di arte locale, riuscimmo a vaccinare più di mille cani contro la rabbia e a sminare qualche chilometro quadrato del paese più bombardato nella storia del mondo! 

di Darinka Montico

Blogger, traveller e autrice di libri 

 

 

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