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La busta arancione dell'INPS

Dal prossimo aprile 2016, milioni di lavoratori cominceranno finalmente a ricevere a casa la busta arancione dell’Inps che contiene una previsione della pensione futura. 

Costo? 3,5 milioni di euro.

Chi sarà a portare avanti questa folle spesa? L'AGID.
L'Agenzia per l'Italia Digitale (abbreviato AgID) è una agenzia pubblica italiana istituita dal governo Monti.
L'Agenzia è sottoposta ai poteri di vigilanza del presidente del Consiglio dei ministri e svolge la funzione di perseguire il massimo livello di innovazione tecnologica nello sviluppo della pubblica amministrazione al servizio dei cittadini e delle imprese.
Presieduta da Stefano Quintarelli, classe '65, pioniere di Internet in Italia, l'AGID, porvvederà a farci sapere quando e quanto prenderemo al termine della nostra "fatica".
 
E' utile?
In linea di massima si, anche perché l'inziativa nasce per preparare gli Italiani alla digitalizzazione, anche se non si capisce a cosa servirà l'invio di 15 milioni di lettere, 150mila al giorno. Molti si inziano a domandare: "cosa si leggerà nella busta arancione"?
 
Dichiaro di aver preso visione della situazione contributiva attuale e di essere consapevole che eventuali errori nell'estratto conto si potranno ripercuotere sul risultato della simulazione. 
Per segnalare eventuali variazioni prego rivolgersi agli uffici Inps.

Si sa, il Legalese in Italia va più dell'Italiano, quando ti devi parare il ....

Quindi?
Solo il 30% usa la Rete per ottenere informazioni dalla Pa ricorda Boeri, presidente INPS, e purtroppo le ultime indagini ci dicono che siamo molto indietro dal punto di vista culturale. Quindi spediamogli una lettera a casa. Facciamo customer care. Come quando la Banca ti spedisce il Foglio Analitico e ti avvisa, unilateralmente, che le condizioni sono cambiate.
Boeri dichiara che ancora c’è poca consapevolezza sulle pensioni: infatti solo 1 italiano su 5 conosce come funziona il nostro sistema previdenziale. 
 
E certo, cambia ogni cambio di governo. Unilateralmente!
 
 
 
 

 

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Fuggire all’estero è sempre di moda “grazie” alla crisi

Consuelo e Walter. Un figlio di tre anni, una casa … e un mutuo che rischia di strangolarli. Attualmente lavora solo lui, e per sei mesi la banca ha concesso un pagamento parziale della rata mensile. 230 euro a fronte dei 747 “teorici”. Tuttavia, da giugno si tornerà all’importo pieno, con l’aggiunta degli interessi maturati nel frattempo. «Vendere la casa potrebbe essere la nostra salvezza, a patto di trovare un acquirente». D’altra parte, se non riuscissero a onorare l’impegno economico assunto, rischierebbe di trovarsi coinvolto anche lo zio, che ha fatto da garante. Un’ipotesi angosciante, ma purtroppo diventata tristemente attuale, come spiegano le associazioni di tutela dei consumatori presenti sul territorio. Così, la coppia sogna di scappare all’estero.

E il Report Istat sugli indicatori demografici fotografa un quadro in linea con quest’esempio. Desolante, a dir poco. Basti pensare che lo scorso anno si sono cancellati dall’anagrafe centomila italiani, per poi trasferirsi all’estero. Il 12% in più rispetto al 2014. Come se non bastasse, le nascite sono al minimo storico e, al contrario, il numero dei morti ha registrato un vero e proprio record. 

Francesca Garrisi

 
 
 
 
 
 
 
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Nanoprestito: la sfida riuscita del matrimonio tra finanza e legalità

Sembra strano, ma è così. A volte è proprio il sistema, con i suoi organi, a legittimare l’illecito. A renderlo necessario, perché, in un certo senso, al cittadino non resta molto altro da scegliere. Così, una piaga come l’usura, per troppo tempo, è proliferata negli spazi lasciati vuoti dagli istituti di credito. Laddove questi non si assumevano la responsabilità di sostenere il privato, interveniva “qualcun altro”, riuscendo a prosperare (e speculare) sullo stato di bisogno.  Il nanoprestito è nato come (tentativo di) antidoto al dilagare della criminalità. Un anno fa circa, veniva lanciato sotto forma di progetto pilota in una piccola area in Campania. Oggi, proviamo a tirare le somme con Nello Tuorto (DG di Finetica Onlus).
 
«Il nanoprestito è scaturito dall’esigenza di offrire piccole somme (al di sotto di 2.500 euro) a tassi legali. Difatti, questi importi non vengono trattati, generalmente, da banche e finanziarie. I beneficiari dell’iniziativa, 40 famiglie della diocesi di Nola, hanno quindi avuto la possibilità di rateizzare il rimborso in 30 tranche da 100 euro l’una». L’intento di fondo era quello di consentire uno sforzo materialmente sostenibile, a soggetti la cui situazione economica è delicata.
Il progetto ha dovuto “scontare” delle difficoltà iniziali, non avendo le famiglie coinvolte la possibilità di documentare il reddito percepito attraverso busta paga. «Così è stata introdotta la garanzia morale, offerta da un’associazione laica o cattolica convenzionata con Finetica in grado di assumersi la responsabilità in luogo dei beneficiari».
 
I primi finanziamenti sono stati erogati a maggio 2015, e la procedura di rimborso, finora, si è rivelata senza intoppi e difficoltà. «Abbiamo tentato di offrire una soluzione legale, consapevoli comunque del fatto che si tratta di una goccia nel mare. Il problema ha dimensioni vaste ed è, oggettivamente, complesso».
Intanto, entro l’estate è prevista la prima verifica da parte del Ministero dell’Economia e Finanza, che vigila sul fondo di Finetica. E chissà che questo non decida di ampliare il progetto, allargandolo anche ad altre realtà territoriali.
 
 
 

 

 

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