La Start Up

Embrace, il bracciale italiano che protegge dagli attacchi di epilessia (e conquista gli USA)

Monitorare pazienti affetti da epilessia?

embrace-1Si può fare. Grazie ad un orologio smart ideato da Empatica, azienda dell’imprenditore italiano Matteo Lai.

Approvato dalla Food and Drug Administration, l’ente che regola prodotti alimentari e farmaceutici negli USA, Embrace è il primo dispositivo del genere che viene approvato in campo neurologico.

Non solo infatti milioni di pazienti possiedono uno strumento affidabile per monitorare la propria condizione, ma è anche una rivoluzione per dottori e aziende che si occupano di studiare e testare nuove terapie.

L'esperimento

embrace-1Il braccialetto è stato brevettato durante uno studio clinico che ha coinvolto 135 pazienti epilettici che hanno indossato Embrace per 272 giorni. Risultato?Il dispositivo è in grado di rilevare il 100% delle crisi epilettiche.

 

«Abbiamo aspettato a lungo: sono passati tre anni da quando abbiamo cominciato i primi studi clinici, e diciotto mesi col processo di approvazione. C’è voluta un’enormità di lavoro (e 1500 pagine di dossier finale!)» die Lai. 

Tecnologia e design

embrace-9Empatica sviluppa e produce i più piccoli e precisi wearable device al mondo, per il rilevamento di segnali fisiologici nella vita quotidiana. 

Embrace monitora infatti l’attività del sistema nervoso, rileva parametri, elabora dati grazie all’intelligenza artificiale e avvisa gli operatori sanitari via smartphone, in caso di crisi epilettiche o neurologiche. Lanciato nel 2015, è disponibile sul mercato dal 2016.

I dispositivi medici sono generalmente abbastanza ingombranti e scomodi: la gente spesso fa persino fatica ad indossarli. «Con Embrace abbiamo voluto intraprendere una strada diversa. Sviluppare il primo dispositivo medico al mondo in grado di vincere un premio di design, pur essendo utilizzato come prodotto salvavita»

Lai è inoltre tra gli imprenditori ad alto potenziale supportati da Endeavor Italia. Ma afferma con fermezza. «Non credete alle storie di successo facili, sono favole. Bisogna essere molto, molto determinati. Ed essere disposti a spaccarsi la schiena e fare molti sacrifici per un bel po’ di anni».

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di Irene Caltabiano

 

 

 

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Golee, la startup dei calciatori in erba

Che lavoro vuoi fare da grande?

golee-1State sicuri che l’80% dei bambini italiani risponderebbe il calciatore. Tuttavia, c'è chi col tempo, abbandona questo sogno e altri che continuano a crederci, a sperare di guadagnarsi un posto nell’Olimpo dello sport.

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Golee, premiare il talento

bambini-calcioDal momento che oggi esiste una startup per tutto, c’è chi ha deciso di crearne una anche per i calciatori in erba, così da aiutarli ad  essere notati e crearsi la giusta rete di contatti. 

Si chiama Golee ed è un social network che conta un milione di calciatori attivi in Italia di età compresa tra i 10 e 19 anni e circa 7400 società. La piattaforma ha già 3000 iscritti e permette a tutti i profili di interagire tra loro e ottenere determinati vantaggi.

Un percorso universitario

tommaso-maria-guerraL’idea per la creazione di Golee (incubatore d’impresa di Università Bocconi e Camera di Commercio di Milano) è arrivata da Tommaso Maria Guerra, giovane che ha studiato negli USA, precisamente all' Università di Lynn, in Florida ed ex calciatore a livello agonistico nella squadra universitaria.

Una volta tornato in Italia, forte dell’esperienza acquisita, ha ideato un sistema basato sulla facilità di accesso ai dati del mondo giovanile e ha sfruttato incubatori d’impresa come Speed Mi Up, in collaborazione tra l‘Università Bocconi, Camera di commercio e comune di Milano.

 

Come funziona Golee

Infatti i ragazzi, attraverso video- performance, possono mostrare il loro talento in maniera meritocratica, dando e ricevendo valutazioni tecniche e facendosi anche  notare dai talent scout. 

Gli allenatori, a loro volta,  pianificano gli allenamenti, monitorano icalciatori, disegnano tattiche e creano esercizi ad hoc.

 Le società infine hanno a disposizione un gestionale amministrativo e sportivo studiato ad hoc per tutte le esigenze, comprensivo di uno spazio e-commerce.

Esistono inoltre servizi aggiuntivi: sapere contro chi si gioca la prossima partita, curiosare tra i dati tecnici di altri calciatori e si possono inoltre votare compagni di squadra, allenatori e avversari, rimanendo aggiornati sulle partite di campionato.

Insomma, un vero e proprio LinkedIn del calcio. Giovani talenti, il successo non è mai stato così a portata di mano: datevela a gambe!;)

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di Irene Caltabiano

 

 

 

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Join me there, la startup italiana che vi dice quanto è virale il vostro video

Qual è il segreto della viralità?

join me thereCredo che chiunque guadagni grazie a video su Internet vorrebbe che esistesse una procedura definita per ottenere milioni di visualizzazioni. Vincenzo De Laurentiis e Giuseppe Tedeschi magari non hanno individuato il cosiddetto segreto della viralità, ma hanno sviluppato un algoritmo che ci va molto vicino. Così vicino che ha subito attirato l’attenzione di Samsung. 

Join me there, dall'Italia al Giappone

Join me there, sviluppata a Singapore, è un’app che consente a tuttidi fare video e misurarne la diffusione sui social. «Abbiamo iniziato a lavorare all’idea di una startup web già nel 2011»ricorda Tedeschi. «All’inizio pensavamo a un sito di viaggi o a qualcosa di legata ai social. A poco a poco, la cosa è cresciuta».

 tedeschi-fondatoreIl progetto ha preso in effetti sempre maggiore forma. L’obiettivo è creare una software house legata ai video. Due ragazzi tedeschi, certamente più ferrati nell’ambito della programmazione, scommettono su Join me there. Giuseppe e Vincenzo si trasferiscono così a Singapore, lasciando le rispettive carriere. «Abbiamo vinto un concorso per startup e trovato un investitore del posto che, dopo una serie interminabile di colloqui con angel e finanziatori, ci ha dato 100 mila dollari». Nel 2013, la startup JMT è diventata realtà.

 

Neanche il tempo di lanciarla che subito Samsung si è mostrata interessata, acquistandone la licenza per integrarla a Sportsflow, applicazione che si basa sullo streaming di contenuti sportivi generati dagli utenti, distribuita in Asia in concomitanza dei mondiali di calcio brasiliani.

«Samsung non ha chiesto di chi fossimo figli ma soltanto cosa potessimo fare di utile per loro» racconta Tedeschi, che fino a tre anni fa di tecnologia non sapeva nulla, essendo laureato in giurisprudenza. «Inoltre non c’è stato bisogno, come in Italia, di contatti personali per arrivare a parlare con i vertici della società. Li abbiamo contattati via Linkedin e dopo poco tempo abbiamo stretto l’accordo».

Come funziona Join me there?

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L’app consente di calcolare il successo dei video prodotti dagli utenti in base al numero di like, condivisioni e commenti sui principali social network.  «Il vantaggio per gli utenti è che non devono fare niente a casa. Fanno tutto sull’app: registrano il video, fanno l’editing e partecipano al video contest» dice Tedeschi. 

Chi lancia i contest invece può monitorare i riscontri del video lungo tutto il percorso sui social network. Vengono  infatti  analizzati i feedback sulle pagine di tutti gli utenti e si riesce a stabilire così quando il contenuto diventa virale.

Singapore, la nuova Silicon Valley

I due stratupper italiani hanno sì avuto una buona idea, ma è anche vero che a Singapore è più facile fare impresa. «Il capitalismo è avanzato, i tassi di crescita sono imponenti, in un’ora di aereo si arriva in Thailandia, uno dei Paesi più popolosi al mondo, e c’è uno dei migliori ecosistemi startup della Terra. Avendo grande liquidità da smaltire, sia il governo che i privati investono moltissimo, forse anche più che in Silicon Valley». 

 Inoltre pare che in Giappone non ci sia paragone dal punto di vista burocratico. «Cè unagenzia che cura le pratiche di chi vuole formare una startup. Un funzionario, che non è neanche laureato, si occupa della costituzione della società. Per registrare una Srl ci impieghi tre ore.  Non hai bisogno di commercialisti, avvocati, banche e notai. È un bel risparmio. Di soldi e di tempo».

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di Irene Caltabiano

 

 

 

 

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