C’era una volta un medico di strada. Il suo nome era Antonio Calabrò…
Ci sono lavori, che sono, prima di tutto, vocazioni
Sono quelle professioni che non richiedono solo talento e competenza, ma anche una cospicua dose di passione e motivazione, che va a sommarsi a uno smisurato amore per il genere umano. Parliamo di mestieri quali quello dell’insegnante e del medico. A Roma, ce n’è stato uno speciale: Antonio Calabrò. La sua eredità, per fortuna è stata raccolta e portata avanti dalla figlia Chiara, che ha seguito anche dal punto di vista professionale, le orme del padre.
Antonio Calabrò aveva dato vita, quasi dieci anni fa, a un ambulatorio di strada
A Cinecittà, infatti, visitava gratuitamente gli indigenti, italiani e non solo. «Mi pare fosse il 2008, quando bussò alla mia porta in municipio e mi chiese se poteva installare un container proprio alle spalle della chiesa di don Bosco. Non so dove si fosse procurato quel container, ma mi spiegò a cosa gli serviva. A noi chiedeva le autorizzazioni, l'allaccio in fogna e le utenze. Gliele concedemmo e si mise subito al lavoro». Così Sandro Medici, all’epoca presidente del X Municipio.
In breve tempo, attraverso il passaparola, si diffuse la notizia di questo servizio, e sempre più persone chiedevano di usufruirne.
«Ricordo quando Antonio Calabrò mi parlò di una ragazza africana. La prima volta che era venuta nel suo ambulatorio, era quasi al termine della gravidanza. In seguito non si fece più vedere. Lui la cercò e la trovò in una baracca sull'Aniene. La convinse a venire al Fatebenefratelli, dove lavorava come chirurgo, per farla partorire senza correre rischi». Continua Sandro Medici.
Successivamente, purtroppo, l’amministrazione comunale non rinnovò le pratiche burocratiche necessarie a usufruire delle varie utenze. Nel frattempo, Antonio Calabrò, si ammalò e morì nell’autunno dello scorso anno. Così, per un lungo periodo il container rimase abbandonato a sé stesso, e il servizio fu sospeso. Sembrava che nessuno volesse/potesse raccogliere il testimone lasciato da Antonio Calabrò. E invece, ha deciso di farlo sua figlia Chiara. E ora, a Cinecittà si continuano ad assistere migranti, persone in difficoltà economica, e senza fissa dimora. Una “piccola” goccia nel mare sulla cui capacità di “contagio”, però, vale la pena di riflettere.
«Antonio aveva una capacità straordinaria di mettere in comunicazione le più diverse realtà. Dai giovani che frequentavano i centri sociali, ai salesiani. Era credente, ma comunque difendeva la sua esigenza di avere un rapporto franco e aperto con la chiesa».