Job Stations: l’inclusione dei disabili psichici è una missione possibile

“Il lavoro nobilita l’uomo” è molto più che un modo di dire

Rappresenta una constatazione, un dato di fatto le cui conseguenze si manifestano chiaramente, e con una certa rapidità. Essere disoccupati induce sconforto e abbassa l’autostima, in quanto priva di un elemento fondamentale per imprimere senso e direzione alla quotidianità. D’altra parte, confrontarsi con un ambiente professionale arido, se non proprio ostile, scatena un circolo vizioso di frustrazione, emarginazione e ineluttabilità.

A volte, per alzarti dal letto, hai bisogno di sapere che puoi essere utile 

Disoccupazione e mobbing mettono spesso a dura prova le risorse emotive di persone equilibrate e appagate, perciò gli effetti su chi convive già con un malessere psicologico non possono che essere amplificati. Si innesca una perversa spirale per rompere la quale non basta avvalersi del supporto di specialisti. Un ruolo fondamentale giocano stimoli e opportunità provenienti dall’esterno, una ciambella di salvataggio che, purtroppo non è ancora la “normalità”. 

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Al netto del buonismo e del politicamente corretto, infatti, la disabilità – in particolar modo quella psichica –è pervasa da una nube fatta di tabù, ignoranza e luoghi comuni. Ciò rende particolarmente significativa l’esperienza delle Job Stations, centri che ospitano persone con problemi mentali impegnate in attività di smart working.

Come funzionano le Job Stations?

L’iniziativa offre a persone affette da disabilità mentale l’opportunità di reinserirsi gradualmente nel mondo del lavoro.

Tale specifica declinazione dello smart working si svolge in ambienti dedicati, e quindi protetti, in grado di minimizzare l’esposizione a fattori stressanti. Chi opera presso le Job Stations effettua compiti caratterizzati da procedure ripetibili e standardizzate, che non implicano un significativo margine di discrezionalità. Attività quali la gestione degli archivi, lo sviluppo software e lo smistamento di fatture e documenti di spesa, generalmente poco gratificanti, assolvono una funzione complementare rispetto ai settori direzionali e creativi, e costituiscono il campo più congeniale per soggetti costretti a confrontarsi con problemi psichici.

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Le Job Stations si avvalgono del supporto di tutor, e, grazie a strumenti quali la posta elettronica e Skype, offrono ai lavoratori un contatto costante con i colleghi operanti nella sede aziendale. L’inserimento presso quest’ultima avviene in fase successiva.

Un progetto come Job Stations merita di essere replicato non solo per il suo valore etico, nell’ottica della concreta promozione de principio di inclusione, ma anche per ragioni economiche. Infatti le patologie psichiche incidono profondamente sia in termini di assenze dal luogo di lavoro, sia in riferimento al pensionamento precoce. E lo scenario, secondo stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, è destinato ad aggravarsi, in quanto tale genere di disabilità potrebbe essere, da qui a 20 anni, il più diffuso. Dunque, è necessario non farsi cogliere impreparati da quello che potrebbe essere il preludio del collasso, umano e materiale, della comunità.

Francesca Garrisi   

Quando le cose non mi divertono, mi ammalo  (H.B.)

 

 

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