Mama don’t cry: quando migrante fa rima con artista
Conoscere la storia per comprendere il presente.
Si chiamano Cas (Centri di accoglienza straordinaria) e sono strutture nate in Italia agli inizi del 2014 per accogliere i richiedenti asilo, ossia quei migranti che fuggono da situazioni di guerra e violenza nel loro paese. Molti italiani li chiuderebbero volentieri, poiché considerano questo tipo di trattamento come un lusso riservato a chi, peraltro, entra illegalmente nel nostro paese con intenzioni spesso bellicose. Altri sottolineano come, nella migliore delle ipotesi, la funzione degli immigrati sia quella di incrementare tasso di criminalità e senso di insicurezza sociale.
Del resto le cronache raccontano di terroristi approdati in Europa con i cosiddetti barconi e le uscite populiste di alcuni politici hanno rafforzato la convinzione che chiudere indiscriminatamente le frontiere sia l’unica soluzione percorribile.
Siamo davvero sicuri che sia questo il giusto approccio per affrontare il problema?
La musica oltre i muri costruiti sui confini.
Il Cas Agathon, situato nella zona del Canavese, vicino Ivrea, è un esempio di come generalizzare sia un esercizio ingiusto e inesorabilmente sbagliato. Umberto D’Alessandro, uno degli operatori del centro che da sempre affianca alla carriera nel sociale quella di musicista e cantautore, ha realizzato un progetto unico nel suo genere, coinvolgendo due dei trenta migranti ospitati nella struttura per cui lavora.
«L’aspetto più interessante della mia professione è che permette di entrare in contatto con persone che pur avendo una cultura profondamente differente dalla nostra hanno in realtà gli stessi sogni dei giovani europei», racconta Umberto. «Un giorno Israel e Adamu, due ragazzi nigeriani che stiamo ospitando, mi hanno fatto ascoltare alcuni pezzi rap da loro scritti e interpretati. Ne sono rimasto folgorato ed è stato allora che ho pensato di fare qualcosa insieme», continua.
Così Israel e Adamu hanno iniziato la loro collaborazione con i Regione Trucco (la band di cui d’Alessandro è leader, ndr) ed è nata “Mama don’t cry”, una canzone con sonorità che richiamano al rap e al reggae. Il testo parla del rischio di affrontare un viaggio che potrebbe non condurre mai a destinazione e di quanto sia difficile abbandonare la propria terra e gli affetti più cari.
“Scarpe buone non ne ho ma ho deciso che partirò lo stesso... dovessi mai cadere in mare, sai, tanto vale che sia scalzo”. È forse questo il passaggio più toccante dell’intero brano, dal quale emergono contemporaneamente disperazione e voglia di cambiare le sorti del proprio destino. Aspetto, quest’ultimo, riscontrabile dall’energia con cui i due rapper nigeriani irrompono a suon di rime, alternandosi dopo ciascun ritornello.
«Questo è un progetto discografico, non sociale: Israel e Adamu cantano con noi perché hanno un gran talento, non perché stiamo cercando di fargli un favore. La gente guarda a loro come a degli artisti, non a dei rifugiati, ed è questa la vera integrazione», tiene a precisare Umberto prima di concludere l’intervista.
Su il volume!
Mama don’t cry è il primo singolo del disco che uscirà a inizio estate (il titolo è ancora top secret) per l’etichetta Vollmer Industries e che comprenderà sei tracce prodotte da Cosmo, l’artista piemontese salito recentemente alle luci della ribalta nel panorama musicale italiano. Menzione speciale per i ragazzi del CoroMoro (coro di migranti delle Valli di Lanzo, ndr), intervenuti nel ritornello in qualità di back vocals.
La canzone dei Regione Trucco feat. Israel & Adamu feat. CoroMoro ha vinto il Premio Under 35 di Amnesty International Voci per la Libertà, qualificandosi di diritto alla semifinale del concorso Premio Amnesty International - Italia Emergenti che si terrà a luglio in quel di Rosolina Mare (Rovigo). Il video è stato girato da Pietro Pedrazzoli e ha visto la partecipazione di diversi ragazzi ospitati presso Agathon e in un vicino centro di accoglienza femminile.
Buona visione e buon ascolto.
autore del romanzo "Veronica Fuori Tempo"