Un’altra ragazza picchiata a scuola. Genitori e insegnanti, svegliatevi!

Picchiata da una bulla tra le risate dei compagni

“Ti ammazzo, ti ammazzo nel vero senso della parola… e non sto scherzando!”

“Non ho il coraggio di toccarti? Non ho il coraggio?”

Così una ragazzina di Muravera, in provincia di Cagliari, ha aggredito una sua coetanea con schiaffi e spintoni nel cortile della scuola. Intorno a loro, un gruppetto di studenti ha assistito all’aggressione senza fare nulla. Anzi, una cosa qualcuno l’ha fatta: ha filmato tutto e ha pubblicato il video su Facebook, raggiungendo in poche ore quasi 4 milioni di visualizzazioni e oltre 76mila condivisioni.

Il video è stato rimosso per volere delle forze dell’ordine, ma quelle immagini le abbiamo viste tutti, in rete o al telegiornale. È agghiacciante la violenza verbale e fisica con cui ragazzi così giovani si scagliano contro i coetanei più deboli, per non parlare dell’indifferenza e della cattiveria degli studenti che si sono divertiti ad assistere all’aggressione, umiliando ulteriormente la ragazzina con fischi, insulti e risate. E con quel video condiviso su Facebook, che ha fatto crescere la vergogna e il disagio della vittima fino a farle pensare di non uscire più di casa.

Ma poi, per fortuna, ha deciso di reagire. “Ritornerò a scuola, a testa alta – ha fatto sapere alla stampa – Sto raccontando tutto per far capire che le vittime di bullismo stanno molto male: chiunque patisca questa sofferenza parli, dica tutto ai genitori e alle forze dell'ordine: c'è chi si uccide, e invece bisogna denunciare perché c'è chi ci aiuta”.

Fanno più male gli schiaffi o l’indifferenza?

“’A soggetta!” le hanno urlato i suoi compagni tra i fischi.

Ricordo che, quando ero piccola, un mio compagno di classe chiamò “soggetto” un altro bambino e la maestra decise di punirlo obbligandolo a riempire intere pagine di quaderno con quel termine e a ricercarne il significato sull’enciclopedia. Il giorno dopo, il ragazzino fu costretto a scrivere più volte la parola “soggetto” alla lavagna e a leggere davanti a tutti le definizioni che aveva trovato. Parlava davanti a noi cercando di trattenere le risate, ma dietro il suo atteggiamento strafottente lasciava trapelare il suo imbarazzo. Chissà se ha mai più chiamato “soggetto” qualcuno.

La ragazzina di Muravera dice di aver perdonato la sua bulla, che le ha chiesto scusa. Ma perdonerà mai la cattiveria di chi l’ha derisa e umiliata?

Non so cosa sia passato per la mente di quei ragazzi. Forse pensavano di suscitare risate per la loro bravata e si aspettavano una valanga di like a discapito della povera malcapitata.

Non so se quei ragazzi sono abituati alla violenza anche perché la vivono nella propria casa, se la vedono tutti i giorni in rete e sui mass media pensando che sia figa, o se sono solo troppo viziati per mettersi nei panni degli altri e rendersi conto di quanta sofferenza possano causare certi gesti.

Però una cosa è certa: se non insegniamo per primi ai nostri figli - o studenti - l’importanza del rispetto, la miseria culturale dei nostri anni diventerà sempre più profonda. 

di Rosa Cambara

 

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