Violenza psicologica sulle donne: prevenire isolamento e vergogna

 “Ti amo, è solo che vorrei tu fossi meno…”

Completare la frase con un aggettivo a scelta. O sostituendo l’avverbio meno con più. Il risultato non cambia: se la frase viene ripetuta come un mantra dal partner, ed è accompagnata da comportamenti finalizzati a farci sentire fuori posto e inadeguate, stiamo vivendo un rapporto che ci toglie più di quanto ci dà. In ogni senso.

La violenza ha tante facce, ma un’unica radice

ViolenzaPsicologicaDonneDunque NON possiamo sentirci al sicuro semplicemente perché siamo fisicamente integre. Non ci è dato sapere PER QUANTO lo saremo ancora: certamente non per molto, comunque, se il nostro compagno ha iniziato a boicottarci e giocare a freccette (acuminate) con la nostra anima.

“Devo sempre starti dietro. Non sei buona a nulla”

“Ti ho vista sorridere a quel ragazzo al bar. Chi è?”

“Perché vuoi uscire con le tue amiche? Non stai bene con me?”

“Ci hai messo troppo a tornare dall’ufficio…perché non hai risposto al telefono? Ti ho chiamata mille volte!”

La violenza, l’ossessione del possesso e il bisogno spasmodico di prevaricare, covano e proliferano tra le parole che ci rivolge il partner. Sono il messaggio che gli preme comunicarci, anche al di là di una forma edulcorata e superficialmente premurosa verso di noi. Soprattutto se è un tipo di premura che NON abbiamo chiesto e/o che abbiamo manifestato di NON gradire.

“Se vuoi porto io la tua macchina dal meccanico. Fregare un uomo è meno facile, quando si tratta di motori”

“Meglio se metti un paio di pantaloni. Lo dico per te, con quella gonna ti fischieranno dietro. Sono un uomo, so come vanno queste cose”

“Preferirei che non uscissi con Daniela. L’ho capito che le sono antipatico, sono sicuro che cercherà di convincerti a lasciarmi”

Il filo nero che unisce queste frasi è la pretesa di trasformarci, smontando come una costruzione fatta di Lego, pezzo per pezzo, il nostro modo di essere, la nostra routine ed i nostri rapporti familiari, amicali e lavorativi, riassemblandoci a sua immagine e somiglianza.

E quando (in) consciamente opponiamo (legittima) resistenza a questa metamorfosi tossica, si passa al contrattacco, vigliacco come una coltellata alla schiena. Il partner ci addossa la colpa dei SUOI comportamenti disfunzionali.

“Ho dovuto controllarti il cellulare! Mi dici sempre bugie…”

“Ho detto alla tua amica di non cercarti più. Quando uscite insieme stai fuori tutta la notte. Sei debole: ha una pessima influenza su di te”.

“Sei troppo concentrata sul lavoro, e mi trascuri. Così ho mandato quel messaggio alla mia ex”.

Violenza psicologica: il primo passo per uscirne

L’abuso va contrastato PRIMA ancora che si manifesti, curando “l’igiene” del rapporto. Evitare la simbiosi, la fusione e la dipendenza. Mantenere e coltivare gli aspetti della nostra vita preesistenti alla comparsa del partner: l’amore degno di questo nome non ha motivo di escludere o porre veti su interessi, hobby e persone a cui teniamo e che tengono a noi. Perchè questi ultimi, rispettandoci e tenendo alla nostra felicità, non farebbero nulla per compromettere il sentimento che proviamo.

Essere parte di una comunità, inoltre, ci offre molteplici possibilità di condividere esperienze, emozioni, pensieri, rendendo più semplice capire quando qualcosa della nostra relazionale non funziona o può essere corretto. Chi è esterno ad una situazione riesce a percepirne pro e contro al netto di coinvolgimenti e parzialità.

Dunque: mai accettare l’allontanamento/isolamento dalla famiglia, dagli amici o dal contesto professionale. È questo uno dei primi sintomi dell’abuso psicologico.

ViolenzaPsicologicaDonneTreSimmetricamente, liberarsi dall’idea che una vittima debba vergognarsi. Il silenzio che si autoimpone garantisce l’impunità all’abusante, gonfia il suo ego e alimenta la fame di nuove prede. Quando lo spazio intimo di una donna viene espropriato e stuprato la responsabilità (anzi, la colpa) e di chi ha compiuto l’atto vandalico. Non di lei. Perché lo sbaglio NON è di chi si è aperto ad un rapporto amoroso che sperava fosse sano, e neppure di chi decide di indossare una gonna, o andare ad un concerto o al cinema da sola.

IL problema risiede nell’uomo che non accetta un no, letterale o metaforico. IL problema è la sua incapacità di gestire un rifiuto, l’intolleranza che nutre verso qualsivoglia di limite. E se c’è qualcuno che ha una colpa da scontare, è lui. Per diventare responsabile delle sue azioni, e per non alimentare il pregiudizio di genere sugli uomini in toto.

 

Francesca Garrisi

Quando le cose non mi divertono, mi ammalo  (H.B.)

 

 

 

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