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I racconti di chi ha cambiato vita ✌

Il cammino dei ribelli per ritrovare sé stessi. La storia di Irene

Riscoprire i luoghi del cuore

Quanto è vero che, a volte, non serve andare troppo lontano per trovare percorsi alternativi, per ritrovare sé stessi a pochi passi dai luoghi che crediamo di conoscere. 

Questa è la storia di Irene Tamagnone, giovane pittrice genovese, che, durante un periodo difficile, si “rifugia” a Cartasegna, paese della nonna paterna, dove scappa dall’afa e dalla vita di città, che, per vari motivi, comincia a starle stretta. Successivamente si mette in cammino per rientrare in contatto con sé stessa, per riconnettersi con il suo qui e ora. 

Stare a Cartasegna per Irene ha sempre significato godersi la casa, il bosco, il silenzio. Ma proprio lì, in quel piccolo e tranquillo paese, Irene nota i cartelli che indicano il Cammino dei ribelli, un magnifico percorso che si snoda tra Emilia, Piemonte, Liguria e Lombardia.

Un cammino storico

Ma come mai questo nome così evocativo? Qui i ribelli partigiani si opposero al regime nazifascista, così come erano ribelli i banditi e le comunità che contrastarono le imposizioni feudali e monarchiche e le tribù di Liguri che si opposero all'invasione dei Romani. Se ci si confronta con il presente, i ribelli sono i giovani che riscoprono, coltivano e reiventano la valle, i camminatori di ieri e di oggi che ridanno vita a questi sentieri. 

Un'idea comincia a inseguire Irene senza sosta: intraprendere prima o poi quel cammino alla riscoperta della Val Borbera. Decide che agosto è forse il periodo giusto per intraprendere il percorso e due giorni dopo parte per un’avventura che la porterà a conoscere luoghi che erano sempre stati vicini a lei ma che non aveva mai scoperto davvero.

Rinascere al femminile

cammino dei ribelliUna decisione che comunque non è stata priva di difficoltà .«In quei giorni sono successe molte cose diverse, credo. Innanzitutto mi sono messa alla prova e ho affrontando le diverse tappe con dei problemi dolorosi ai piedi sin dai primi giorni: è stato bello ma ha richiesto anche un sacco di forza di volontà. Ovviamente mi sono anche persa» ha dichiarato Irene durante un’intervista a L’Italia che cambia.

Ha anche informato che, al di là delle aspettative, è stato un percorso molto più solitario di quello che pensava, con confronti avvenuti più al termine delle tappe che durante il percorso e con gli animali come compagni di viaggio più che le persone.

Ma ci sono state alcune tappe importanti del viaggio, come la visita al Museo della Resistenza, dove conosce la proprietaria che è una sorta di enciclopedia umana su quel determinato periodo. 

«In quei giorni ho realizzato che la forza della valle ora è tutta al femminile e questa è stata una bella scoperta. Dopo questa esperienza ho una conoscenza decisamente più profonda di un luogo del cuore, anche solo per questo lo rifarei».

Insomma, se piace camminare e ci si vuole inoltrare nei percorsi del nostro Bel paese, le possibilità sono tante. Purtroppo alcune parti sono ancora poco tracciate e il percorso nel tempo andrebbe migliorato. 

«In alcune strutture in cui ho dormito ho trovato un quadernino che raccoglie pensieri e annotazioni dei pellegrini: ecco, mi sarebbe piaciuto trovarlo sempre, perché è un medium di condivisione importante, che crea anche una sorta di staffetta emotiva, ma anche pratica».

 

di Irene Caltabiano


 

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Torno a Messina e apro una fattoria urbana. La storia di Marzia e di Villarè

Nostos, il ritorno 

Ci sono momenti del percorso scolastico che rimangono impressi, parole magiche che sembrano segnare un destino. 

Ricordo una delle prime interrogazioni sull’Odissea, se non la prima, in cui mi si chiese quale fosse la parola chiave nel brano che avevo appena letto. 

Un po’ per fortuna, un po’ per istinto, risposi "nostos", che in greco significa "il ritorno". 

Come l’asanisimasa di felliniana memoria, il ritorno, il dietrofront è diventato un mantra che tanti illustri scrittori (tanto per dirne uno, Elio Vittorini nelle sue "Conversazioni in Sicilia" o in tempi più recenti "Addio fantasmi" di Nadia Terranova) hanno affrontato come tematica anche in tempi recenti, quelle radici che diventano croce e delizia, che ci tengono ancorati ai profumi, agli odori, ai sapori della nostra terra.  

Una nostalgia che, dopo qualche mese, abbiamo bisogno di colmare, a suon di granita, braciole e di immersioni nelle limpide acque tra Scilla e Cariddi, quasi ricaricassimo una bombola di ossigeno.  

Come novelli Ulisse, tanti siciliani intraprendono il “viaggio”, con Itaca nel cuore. C'è chi però, dopo aver girovagato, come il prode eroe, intraprende la via di casa, arricchito dalle esperienze vissute.

Non sempre il ritorno è scevro da difficoltà, come cercava di dirci metaforicamente anche Omero secoli fa. Così, anche chi sceglie consapevolmente di costruire una vita sull’isola, deve combattere contro "i Proci" della diffidenza, della burocrazia, della mancanza di mezzi adeguati.  

Villarè, la prima fattoria sociale di Messina 

La nostra Ulisse questa volta si chiama Marzia Villari, intraprendente giovane che, dopo aver peregrinato tra Milano e Roma, ha deciso di tornare in riva allo Stretto, dove fonda e gestisce Villarè, fattoria urbana e azienda agricola, insieme a papà Angelo. 

Come ho già sottolineato, e come ha rivelato la stessa Marzia durante una bella intervista su TempoStretto.it, uno dei principali giornali online locali, compiuta la maggiore età è quasi una tappa obbligata per aprire gli occhi sul mondo. 

L’isola ti protegge ma ti fa vivere dentro una bolla. Non capisci bene come funziona "il mondo oltre la siepe", con abitudini diverse, un altro fermento culturale, e anche con una maggiore possibilità di scoperta. 

Una bolla che Marzia ha purtroppo ritrovato una volta tornata in città. La sensazione che tutto fosse rimasto cristallizzato nel tempo, con pregi e difetti. Con una differenza: avere un progetto, una prospettiva. 

Dai prodotti bio alla fattoria didattica 

Villarè si potrebbe infatti definire il primo modello di fattoria sociale della città siciliana. La struttura è situata a Minissale, zona di campagna da sempre coltivata a vigneti, frutteti e ortaggi. 

In questa meraviglioso terreno non solo si producono conserve, pane e sottoli con le verdure dell’orto, ma c’è un’attenzione particolare all’educazione di bimbi e adulti. 

C’è la Fattoria delle Carezze, dove si può stare a contatto con la natura e scoprire tutte le curiosità sugli animali, il progetto Naturè, che riprende il concetto nordico di asilo nel bosco, con la didattica all’aperto e la natura come vera maestra, ed esperienze come la Green Bubble Room, che consente di fare gampling con la vista unica dello Stretto o ancora, Agrè, lo “chic-nic”, ovvero un’apericena dove si possono degustare tutti i prodotti dell’orto. 

Nel periodo invernale si svolge al Mercato Coperto del Muricello, dove vengono venduti anche i prodotti dell’agriturismo, mentre d’estate il gustoso aperitivo si può prenotare direttamente sul posto. Ma le opzioni sono veramente tante, vi invito a visitare il sito per scoprirle tutte.  

Insomma, chapeau a Marzia e alla sua famiglia, che hanno trasformato l’ormai tristemente famosa frase “A Messina non c’è nenti”, in un’opportunità.  

Partendo dal niente, con una buona dose di impegno, coraggio e creatività, si può costruire qualsiasi cosa.  Dando a Itaca la possibilità di evolvere. Magari, stavolta, restando.  

 

di Irene Caltabiano 

 


 

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Re_convert Ars, cambiare vita e farne un'opera d'arte. La storia di Giorgio

“Ci vuole coraggio per vivere” recita un detto popolare. 

Io parafraserei dicendo che serve ancora più coraggio per cambiare vita. Ci sono momenti in cui l’insoddisfazione ci domina, una voce interiore ci spinge a pensare che forse no, quello che stiamo facendo o ciò che stiamo vivendo non è esattamente ciò che ci aspettavamo, soprattutto da noi stessi.

Ci sono però persone che hanno raccolto questa insoddisfazione e hanno cambiato rotta, giocando al ribasso, entrando dentro ai vuoti di un’esistenza apparentemente perfetta e riempendoli con qualcosa di completamente diverso. 

La storia di Giorgio, da imprenditore ad artista

Giorgio Bellingrado era un imprenditore di successo: una casa grande,

una bella macchina, un matrimonio e due figli. Una tessera perfettamente incastrata nel mosaico della società. 
 
Poi il castello dorato ha cominciato a sgretolarsi. È sopraggiunta la crisi, l’amore si è affievolito fino al divorzio, i debiti sono aumentati e l’azienda è fallita.  
 

Ma Giorgio, anziché vivere quella situazione come un fallimento, ci vede un’opportunità. La possibilità di riprendere in mano pennelli, tele e colori, facendo l’artista a tempo pieno.  

Un’arte che rispecchia il suo percorso di rinnovamento. Infatti Giorgio recupera materiali come jeans, sughero e lattine e li trasforma in cuori, stelle, quadri, scritte, dando vita a una vera e propria esplosione di colori. Regala così agli oggetti una seconda vita, diversa da quella per cui queli materiali erano stati progettati. 

Lavora sui dettagli, sulle sfumature regalando ai suoi quadri e alle sculture una forza e un’energia potente, che sembra andare oltre la cornice. Come se, attraverso la seconda vita che regala agli oggetti, desse una seconda chance anche a sé stesso. 

Insegnare l'arte del riciclo

Un percorso che ha trovato accoglienza anche a scuola, con l’obiettivo di appassionare i ragazzi alla pratica del riciclo, conivolgendoli in momenti di aggregazione, in cui l’attività manuale riveste un ruolo primario di formazione ma anche relazionale e sociale, aiutandoli a diventare adulti più responsabili.  

«La tecnica che ho affinato per far fronte al disagio di questo ultimo periodo mi hanno salvato e consentito le difficoltà di questo periodo in opere materiche e cromatiche dalla forte personalità». 

Tutte le opere saranno esposte e si potranno vedere da sabato 3 a domenica 11 settembre in provincia di Venezia, nella retrospettiva dal titolo EXIT “Se non ti perdi non puoi trovare strade nuove”.

Una massima che tutti dovremmo tenere sempre presente nei momenti in cui ci sentiamo privi di punti di riferimenti. 

Potrebbe essere solo l’inizio di un nuovo, emozionante, percorso.  

 

di Irene Caltabiano

 

 


 

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