Risorse

Il tuo progetto ha una marcia in più? Così il web ti aiuta a finanziarlo

L’innovazione è il sale dell’economia

StartupIn un’epoca come quella attuale in cui il digitale ha pervaso i più disparati settori, modificando profondamente – e a volte addirittura condizionando – pressoché ogni attività. 

Così, utilizzare termini quali tecnologia e tecnologico è diventato un must, per accreditarsi agli occhi di potenziali partner commerciali e clienti.

Ben presto però, è risultato chiaro ai più che il mero richiamo a questi concetti non rappresentava altro che una sorta di specchietto per le allodole. In tal senso, l’introduzione del termine startup e la progressiva definizione del suo campo semantico ha aiutato a far chiarezza.

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Cosa distingue una startup da un “banale” business?

CrowdfundingIntendiamoci: sicuramente anche questa parola ha rischiato una sorta di logoramento, in quanto nel recente passato se n’è spesso fatto un uso indiscriminato, ma l’accezione tratteggiata da Steve Blank, imprenditore della Silicon Valley nonché accademico, aiuta a sgomberare il campo da dubbi ed equivoci di sorta.

La startup è un’entità a carattere temporaneo finalizzata a conseguire un profitto occupandosi di innovazione

Il suo percorso è scandito da un numero variabile di sperimentazioni e tentativi, necessari a individuare il modello di business più efficace.

 

Scalabilità e ripetibilità sono le parole d’ordine della vera startup. 

Dunque, il mercato di riferimento deve essere sufficientemente vasto da offrire consistenti margini di sviluppo, e i processi adottati facilmente replicabili.

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Chi fornisce la “benzina” necessaria alla tua startup?

Qualunque idea, per quanto originale e teoricamente pregna di ricadute positive sulla collettività, finisce per essere sterile, se mancano le risorse necessarie a vederla concretizzata. Un progetto si può considerare vivo e vitale solo se ha “gambe robuste” per camminare.

Nel caso specifico, per alimentare la scintilla che ha originato la startup, servono risorse monetarie, e queste possono essere raccolte attraverso tre canali, a ciascuno dei quali dedicheremo un approfondimento ad hoc:

-       crowdfunding (letteralmente: raccolta fondi dal basso)

-       business angels (investitori informali)

-       venture capital (forme d’investimento connotate da un alto margine di rischio).

Crowdfunding: people have the power

CrowdfundingÈ un metodo, questo, che dimostra quanta verità c’è nel detto “l’unione fa la forza”. Il crowdfunding è infatti un processo finalizzato al raggiungimento di un dato budget attraverso le donazioni effettuate dai singoli.

Tale canale si rivela tanto più efficace e incisivo quanto maggiore è il numero di persone coinvolte. La spinta propulsiva decisiva è spesso determinata dal passaparola.

Le campagne di crowfunding, veicolate da specifiche piattaforme web, possono essere di cinque tipi:

-       donation - based: questa è la prima formula introdotta, caratterizzata dal fatto che il crowdfunder non riceve alcuna contropartita per il contributo economico offerto;

-       reward - based: a oggi rappresenta la variante maggiormente utilizzata; quelli che partecipano alla raccolta fondi ottengono una ricompensa (non monetaria);

-       lending - based: anche noto come social lending o P2P lending, costituisce il prestito di denaro tra privati; a renderlo appetibile è la possibilità di ricevere un finanziamento spuntando tassi più vantaggiosi di quelli fissati dalle banche;

-       royalty - based: la contropartita alla donazione è rappresentata dalla partecipazione alla suddivisione dei profitti;

-       equity: chi sottoscrive la raccolta fondi riceve una quota della startup, e così ne diventa, sostanzialmente, socio;

-       ibrido: è caratterizzato dal connubio tra due o più di queste formule.

È un settore, quello della raccolta fondi dal basso, che ancora in molti Paesi non è regolamentato attraverso apposita disciplina. Ciò è invece avvenuto in Italia, prima in Europa.

Il codice, incentrato sull’equity crowdfunding, è stato emanato da Consob (Commissione Nazionale per le Società e la Borsa), e la prima versione risale al 2013. 

Importanti modifiche sono state apportate dapprima nel febbraio 2016, e, successivamente,  nella seconda parte del 2017. 

 
francesca garrisi
 

 
 

 

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Come calcolare il ROI?

Il ROI, ossia il Ritorno (ricavo) sugli investimenti.

ritorno sugli investimentiIn Italia, soprattutto nella media e piccola impresa, 8 imprenditori su 10 non sanno cosa sia e per questo falliscono.
Oggi abbiamo incassato 300€! Quest'affermazione tipica è del tutto fuorviante e non aiuta a percepire l'andamento del nostro business.

L'analisi del conto economico.

La prima cosa da fare è esaminare i COSTI mensili.
Dividerli tra FISSI (stipendi, affitti, utenze)e VARIABILI (Consulenze, provvigioni, pubblicità).
Otterremo una situazione mensile dei costi che la nostra attività dovrà affrontare.
 

I Ricavi

Che non è il saldo di conto corrente! I ricavi vanno inseriti per competenza temporale. 
 
Se a Maggio ho guadagnato 2.500€ ed ho emesso una fattura il 5 Giugno, ma ho incassato i 2.500€ a Settembre, dovrò necessariamente inserire il ricavo di 2.500€ nel mese di MAGGIO e non quando ho incassato la fattura.
Il cash è diverso dal ricavo. Non c'entra nulla!
 

Gli errori da non commettere per il calcolo del ROI

 
Inserire nel prospetto del conto economico voci che non influiscono con il ROI è un errore che pregiudica la nostra analisi.
  1. Le rate del finanziamento 
  2. l'IVA
  3. I finanziamenti personali o dei soci
  4. Multe o spese non inerenti l'attività
Capitolo a parte per la pubblicità, che di per sè è un costo ma se produce clienti che in futuro produrranno ricavi, dovrà essere inserita con una voce a parte. 
Se non altro per capirne il ritorno reale per valutarne l'incremento, o il cambiamento di comunicazione se non produce clienti.
 
Ma per cortesia, non confondete il ROI con l'incasso giornaliero. Vi farà fallire!
 
di Duccio
Blogger scorretto
 

 
 

 

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Botteghe Digitali: il racconto è il miglior social per esportare le eccellenze italiane

Tiger, Ikea … e talvolta anche un’incursione nel poco rassicurante mondo del made in China

Eccellenze_italianeArredare casa con uno stile che unisca accoglienza, calore e personalità senza spendere un occhio della testa si rivela spesso un’impresa. 

Questo ha decretato la fortuna delle catene low cost nord europee, che, soprattutto nel caso di esigenze last minute e/o imprevisti, vengono rimpiazzate dal cinese sotto casa.

La bellezza salverà le aziende italiane

Tuttavia, il richiamo del buon gusto è un’esigenza probabilmente insopprimibile, nell’animo umano, e ciò ha consentito di sopravvivere ad alcuni tra i più gloriosi marchi di artigianato dislocati sul territorio. 

Ovviamente, la permanenza sul mercato sta imponendo loro comunque un cambio di passo, un salto di qualità connesso al modo di comunicare, più che al prodotto offerto.

 

Se non sei in Rete (appropriatamente), non sei nessuno

Gabbiani_MuranoChi infatti, in veste di potenziale cliente, non ha provato almeno una volta nella vita un acuto senso di frustrazione e impotenza quando, dopo aver scovato il sito di un produttore artigianale di borse in pelle, orecchini o lampade con sede a centinaia di chilometri di distanza, non è riuscito a effettuare un ordine  in quanto non era indicato alcun recapito?

Modernizzare, facilitare il flusso di informazioni da e verso l’azienda, esemplificare il processo distributivo. 

Sono questi alcuni degli imperativi a cui devono rispondere le eccellenze del made in Italy, per tamponare il dilagare dei prodotti low cost in serie. 

Ed è fondamentale, in tal senso, familiarizzare con i social, “disegnarli” su misura della propria storia, filosofia produttiva e stile. Insomma, piegarli alle proprie, peculiari, esigenze. 

È dietro l’angolo, infatti, il rischio che Facebook, Instagram & Co, se utilizzati con l’assenza di consapevolezza e/o l’entusiasmo indiscriminato di un teen ager, si tramutino in armi improprie, boomerang capaci di travolgere nell’onta 2.0 perfino i brand più prestigiosi e consolidati.

 

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Botteghe Digitali: innovare è come respirare

Gabbiani_MuranoIl progetto è stato lanciato lo scorso anno da Banca IFIS, allo scopo di dare nuova linfa all’artigianato italiano puntando sullo storytelling agito attraverso i social. 

Uno strumento, questo, a  volte sottovalutato, soprattutto dai marchi nati in epoca analogica, ma che presenta indubbi e versatili vantaggi, oltre che opportunità di sviluppo.

È ormai chiaro, nell’ambito del marketing, che il racconto è una leva preziosissima, per entrare il contatto con il potenziale cliente e sbaragliare i numerosi concorrenti. 

Qualcosa di paragonabile all’arte seduttiva nell’accezione persuasiva del termine, un tempo affidata a vip e sex symbol reclutati per spot pubblicitari più o meno memorabili.

La prima edizione di Botteghe Digitali ha offerto l’opportunità a 4 artigiani italiani di ripensare interamente il proprio assetto, avvalendosi del sostegno dell’istituto di credito in attività quali la stesura del business plan, il re-design del prodotto e la definizione di una strategia social.

Pensare digitale per agire in modo globale. 

Si può riassumere così lo spirito che anima il progetto, finalizzato a tradurre in realtà la rivoluzione 4.0. La seconda tornata dell’iniziativa, in partenza in queste settimane, si sta caratterizzando per un ampliamento della platea di beneficiari, che sono raddoppiati (sei in più del 2016).

Piccolo è bello. Soprattutto se sa sfruttare i social per dimostrare la sua eccezionalità e rendersi indispensabile/insostituibile. Qualcosa a cui nessun oggetto Ikea potrà mai aspirare, per quanto funzionale o esteticamente accattivante. 

 
francesca garrisi
 

 

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