Aggiungi valore alla natura ☢

Vaia, la startup che fa rinascere le Dolomiti dopo la tempesta

Molto di quello che succede ogni giorno, è indipendente dalla nostra volontà

Basti pensare alle eruzioni vulcaniche, ai maremoti, agli uragani.

Per migliorare la nostra vita (e non solo), sarebbe quindi utile ridurre le energie spese per controllare/prevedere tutto, e utilizzarne una parte per modificare il nostro modo di (re) agire. Focalizzandoci sull’individuazione di soluzioni efficaci e sostenibili. Vi sembra impossibile, o “più facile a dirsi che a farsi?” È perché non conoscete (ancora) l’esperienza della startup Vaia.

Ottobre 2018. Tutto è iniziato con una tempesta

Vaia-startup-Dolomiti

La calamità naturale ha colpito la parte nord-orientale dell’Italia, lasciando a terra 42 milioni di alberi (equivalenti a 8,5 milioni di metri cubi di legno). Vaia, questo è il nome della tempesta, ha massacrato 42.500 ettari di superficie forestale e investì circa 500 comuni, arrivando ad una velocità di 200 km/h. I danni provocati sono stati stimati in quasi 3 milioni di euro.  Così, il volto delle Dolomiti è stato trasfigurato.

A fondare Vaia sono stati Federico Stefani, Paolo Milan e Giuseppe Addamo, imprenditori under 30 accomunati dal desiderio di riscattare gli alberi falcidiati da un destino crudele e improvviso, facendoli rinascere a nuova vita sotto forma di accessori tecnologici green.

Di cosa si occupa la startup?

Vaia recupera il legno degli alberi vittima della tempesta del 2018 e lo utilizza per realizzare Vaia Cube (amplificatore naturale per smartphone), Vaia Cube Imperfetto (amplificatore caratterizzato da imperfezioni naturali), e Vaia Focus (amplificatore visivo per smartphone).

Vaia-startup-Dolomiti

Per ogni albero riscattato attraverso Vaia Cube, viene piantato un nuovo albero. E ancora, Vaia Cube Imperfetto contribuisce al ripopolamento della Foresta dei Violini patrocinato da Trentino Tree Agreement. Ciascun Vaia Focus venduto, invece, permette di preservare il ghiacciaio Presena. 

Tirando le somme, finora sono stati piantati 30mila alberi, a fronte di un obiettivo di 100mila.

Federico Stefani, Paolo Milan e Giuseppe Addamo hanno riassunto il motto della startup con il claim Face what matters. Sottolineano così l’intento intento di rovesciare il significato della parola Vaia, sfidando il concetto di morte attraverso un innovativo progetto all’insegna della bellezza e della ripartenza feconda della natura, e dell’economia.

 

 

 

Francesca Garrisi     

Quando le cose non mi divertono, mi ammalo  (H.B.)

 

 

google playSeguici anche su Google Edicola »

 

Continua...

Caffè e latte di patate? Leggi prima di storcere il naso

Il nostro rapporto con il cibo è molto della semplice assunzione di determinati alimenti

Pausa-CaffèÈ anche – anzi, soprattutto – un rito complesso, in cui entrano in gioco fattori psicologici, culturali e sociali. Così, saltare a piè pari la colazione può dipendere dalla (dis) educazione ad una quotidianità tenuta in scacco dal binomio fretta e procrastinazione (della sveglia). E, ancora, l’irrinunciabile pausa caffè di metà mattino/pomeriggio può scaturire dall’esigenza (legittima) di ritagliarsi un momento di stacco dal lavoro, in cui poter sgranchire le gambe; peccato però che così la quantità di caffeina assunta giornalmente diventi significativa, considerando le due moke ingollate ancor prima di uscire da casa al mattino

E se al caffè sostituiamo/affianchiamo il latte, la situazione non cambia granché. Perché si aggiungono calorie, ed una certa quantità di grassi. L’alternativa rappresentata dalle bevande vegetali può essere quindi un ragionevole compromesso per salvare il rito, la nostra salute…e quella dell’ambiente. A breve, nei supermercati, potremo forse acquistare anche il cosiddetto latte di patate, oltre a quello di soia, un classico ormai consolidato.

Latte-patateQuesta bevanda è già molto apprezzata e diffusa in Paesi del Nord Europa come Svezia e Gran Bretagna; a commercializzarla è stata la startup svedese Veg of Lund, che lavora in partnership con l’Università di Lund.

A inventare il latte di patate e metterne a punto/brevettarne la ricetta è stata Eva Tornberg, docente e ricercatrice dell’ateneo della città svedese che già cinque anni fa è riuscita a produrre la bevanda previo riscaldamento dell’olio di colza. Il lancio sul mercato è avvenuto nella seconda metà del 2021 con il marchio DUG.

Le componenti del latte di patate, oltre al tubero ed all’olio di colza, sono acqua, maltodestrina, proteine dei piselli, fibre di cicoria, saccarosio e lecitina di girasole. La bevanda contiene inoltre vitamina D, B12 ed acido folico.

Che sapore ha il latte di patate?

Attualmente sul mercato sono disponibili tre varianti a marchio DUG, ed il loro odore è stato accostato da qualcuno al purè di patate, e da altri alle patate crude. Il sapore, invece, secondo altri farebbe pensare ai fagioli, e avrebbe comunque una nota salata.

Gli usi del latte di patate sono molteplici: non solo in combinazione con latte o cereali, ma anche per preparare dolci.

Perché bere il latte di patate?

Latte-soiaPerché, in proporzione, ha meno carboidrati e calorie del latte di sesamo nero, inoltre isola 14 allergeni molto diffusi che possono determinare allergia a soia, avena e lattosio. Dunque è destinato, potenzialmente, ad una platea più ampia di consumatori.

Ultimo, ma non meno importante, la coltivazione delle patate ha un impatto meno forte sull’ambiente, rispetto alla produzione di altri elementi da cui si ottiene il latte vegetale. La quantità di terreno richiesto, infatti, è la metà di quella necessaria per l’avena, 56 volte meno acqua di quella utilizzata per la coltivazione delle mandorle, e non comportano la deforestazione disordinata e il ricorso ad Ogm, a differenza della soia.

Chissà se i proprietari del marchio Veggemo, che nel 2015 avevano lanciato, per la prima volta, sul mercato (in quel caso, canadese) il latte di patate senza successo avrebbero immaginato, per la bevanda, una seconda vita, più fortunata e in sintonia con i tempi.

 

Francesca Garrisi     

Quando le cose non mi divertono, mi ammalo  (H.B.)

 

 

google playSeguici anche su Google Edicola »

 

Continua...

Keep life, frutta secca da plasmare

Lunga vita alla frutta secca

Quanto è vero che le migliori idee, spesso, derivano da un semplice cambio di prospettiva. Un materiale normalmente considerato di scarto che può tornare a nuova vita, ad esempio. 

Avete presente tutti quei gusci di frutta secca abbandonati sulle tavole natalizie o lasciati sparsi dopo un rapido spuntino? 

Pietro Petrilli, giovane designer ma soprattutto persona estremamente curiosa, ha capito che quel materiale, disponibile in abbondanza, non era destinato alla spazzatura ma rappresentava un’opportunità per nuove creazioni, originali business.

La scintilla è scoccata durante il Natale di qualche anno prima, quando Petrilli vede tutti quei gusci abbandonati sulla tovaglia, di varie forme, colori e consistenze. Così, insieme alla designer italiana Ilaria Spagnuolo, ha creato Keep Life, il cui obiettivo è già presente all’interno del nome stesso: tenere in vita.

Keep life, design dalla frutta secca

Materiale composito, di natura lignea, plasmabile e autoindurente. Il processo di lavorazione di Keep Life segue fasi ben precise. Dopo una prima stagionatura dei gusci della frutta secca, questi vengono selezionati e setacciati. Ogni tipologia di guscio infatti si differenzia per consistenza e colore. «Ad esempio i gusci delle arachidi, per le loro peculiarità granulometriche, vengono utilizzati soprattutto per colmare i vuoti» precisa Pietro.

Una volta selezionati i gusci, questi vengono impastati a mano, usando un legante privo di sostanze tossiche, solventi e formaldeide. A questa fase segue l’essiccatura, che viene attuata attraverso degli stampi progettati e realizzati con filamenti naturali, tramite stampanti 3D.

Keep Life non è un semplice materiale, ma un’esperienza materica, disponibile in quattro cromie, tutte un omaggio alla terra campana. Si va dal nero Vesuvio, al Rosso Pompeiano, passando per il Giallo Tufo e il Bianco Fiano. 

Materiale esclusivo

keep lifeKeep Life si impegna inoltre a seguire una filiera sostenibile. «Per un discorso di prossimità, la maggior parte dei nostri gusci proviene dalla Campania, la Puglia, la Sicilia e la Calabria. Spesso pub e ristoranti raccolgono per noi gusci e scarti, che non sono tutti uguali. Ciascuno, in base alla provenienza, racconta un pezzo di territorio». 

Ci sono addirittura materiali che provengono in esclusiva da luoghi specifici, introvabili in altre location. «Ad esempio un’azienda agricola sarda ci fornisce i gusci di una mandorla autoctona che cresce solo lì». E così la materia prima arriva a plasmare l’identità dell’oggetto finale.

Ottenere la fiducia di artigiani e fornitori richiede però attenzione e cura.«C’era una cerchia di scettici e titubanti. Nessuno avrebbe mai scommesso che un materiale così granuloso si potesse lavorare come il legno. Ma tutti, poco dopo, hanno dovuto ricredersi» ha raccontato Pietro al magazine online Startup Italia, con una punta di soddisfazione.

Inoltre il giovane designer vorrebbe creare uno spazio di co-working da dedicare a tutte le fasi di lavorazione di Keep Life, per valorizzare al meglio la sua regione.«Mi piacerebbe soprattutto che questo materiale entrasse nelle case di tutti, magari realizzando delle piccole produzioni in serie per essere sempre più competitivi sul mercato». 

irene caltabiano

 

di Irene Caltabiano 

 

 

 

google playSeguici anche su Google Edicola »

 

Continua...

 

FB  youtubeinstagram

✉ Iscriviti alla newsletter


☝ Privacy policy    ✍ Lavora con noi

Contattaci