Lavorare 2.0

Voglio una vita migliore per me e la mia famiglia, ma dove?

Le 10 destinazioni ideali per chi deve trasferirsi per lavoro

Stanchi di lottare per una vita e un lavoro migliore?
Vi sentite insoddisfatti del paese in cui vivete e sapete che trasferirvi altrove potrebbe essere più gratificante professionalmente e migliorerebbe la vostra vita privata e quella della vostra famiglia. Vediamo allora quali sono le mete che dovete scegliere per ottenere ciò che desiderate .
 
Secondo un articolo di Business people decisamente la prima è Singapore. Combinazione perfetta tra opportunità di carriera, stipendi e qualità della vita, Singapore offre mediamente stipendi di oltre 200mila dollari l’anno,  la  possibilità di crescita professionale e una qualità della vita migliore anche per i propri figli. Non solo! si stima un ulteriore crescita economica della città.
 
Alessandro che è un italiano che fa il consulente a Singapore e ci racconta il suo punto di vista: “La cosa che mi ha colpito di più è come questa nazione sia riuscita, in meno di cinquant’anni, a diventare una delle nazioni più moderne e ricche del mondo, con un PIL pro capite superiore a quello di molti Paesi europei, inclusa l’Italia. 
Mi colpisce il modo in cui tre comunità etniche distinte – cinese, malese ed indiana – e noi expat, vivano insieme senza problemi. Mi colpisce la pulizia e l’organizzazione della città e dei servizi, dovuta ad ottima programmazione, efficienza delle procedure e gestione di un “ecosistema”, in cui i privati hanno incentivi economici nel seguire i piani del pubblico. 
 
Ad esempio, ogni volta che sono in aeroporto mi vien da pensare: "in fondo non ci vuole molto a progettare un aeroporto in maniera funzionale, non c’è motivo per cui ogni aeroporto in Italia non possa essere così!”.
 
Seguono al secondo e terzo posto la Nuova Zelanda e la Svezia, quest’ultima risulta essere la meta preferita per chi si sposta con la famiglia.
I restanti paesi che completano la classifica sono Bahrain, Germania, Canada, Australia, Taiwan, Emirati Arabi Uniti e Svizzera.
Ma trasferirsi all’estero significa ricominciare da capo e affrontare ostacoli diversi da quelli che abbiamo nel nostro paese tra i quali, l’apprendimento della nuova lingua. Tutto questo non è affatto semplice. 
 
E allora a chi è diretta questa classifica?
Certamente a chi vuole migliorare la propria qualità della vita e la propria carriera, ma soprattutto a chi è pronto ad accettare nuove sfide imparando nuove competenze e una cultura diversa,  e sappiate che quello che riceverete in cambio è tantissimo! A cominciare dai benefit che questi paesi offrono. 
 
Quali sono?
Tanto per cominciare spesano le assicurazioni mediche, gli alloggi e persino i viaggi per rientrare in patria.
Allora preparate le valigie si decolla!
 
 
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Le sei regole per imparare a dire di no!

Perché ho detto si, volevo dire no!

Ci sono persone che dicono no, ma sono l’eccezione alla regola principale che è quella del si. 

La maggior parte di noi, infatti, sceglie di dire sempre si nei rapporti con i colleghi di lavoro ma anche con i propri familiari ed amici.  

Ma perché diciamo sempre si se poi avremmo voluto dire con tutti noi stessi  un salutare no? 

Salutare perché dietro al nostro “si” si nasconde  repressione e di conseguenza anche rabbia. Certamente siamo condizionati dal parere degli altri su noi stessi e a quanto pare il dire no è diventato un potere che solo pochi di noi sanno gestire.  Secondo la psicologa americana Judith Sills «È un potere segreto, perché è facilmente equivocato ed è difficile da gestire». Dunque mentre il si viene associato alla positività di chi possiede coraggio e buon cuore, il no è solo negatività. Ma così non è perché il no può esprimere una personale scelta, ben precisa, e rappresentare  verità e sincerità.

Paolo Ragusa psicologo ed autore del libro Imparare a dire no ci spiga che  "Il no sembra essere uno strumento che allontana le persone e impedisce di consolidare i rapporti", "invece è il modo adeguato per incontrare gli altri, sostanziare i rapporti ed esercitare in modo sano la propria disponibilità. Siamo vittime del mito del sì, di una impossibile disponibilità totale". 

Preferiamo dire si per evitare conflitti
Vogliamo a tutti i costi  non far soffrire gli altri ma soprattutto vogliamo piacere ed apparire delle persone buone ed essere popolari. 

 

Le sei regole della psicologa Judith Sills  

  1. Rimpiazza il tuo sì automatico con un "Ci penso su". Aiuta a riprendere il controllo, a riflettere e a preparare il terreno per un no ragionato, che fa meno male di quello impulsivo
  2. Ammorbidisci il linguaggio, indora la pillola. Usa espressioni come "Preferirei di no", "Non sono a mio agio con...", "È molto interessante ma non sarei capace di..."
  3. Contieni le tue emozioni. Un no arriva meglio a destinazione se accompagnato da un'aria di calma zen, anche se finta. È molto più efficace di uno tsunami di rabbia
  4. Cita la tua responsabilità verso altri. Ad esempio: "Mi piacerebbe aiutarti, ma ho già promesso a mia madre di..."
  5. Pensa, o immagina, che tu stia facendo qualcosa anche nell'interesse di qualcun altro, come la tua famiglia o la tua azienda. Ad esempio: "Non posso prestarteli, perché con quei soldi devo..."
  6. Se insistono, "ripeti il tuo no".
    Davanti a un capo che pretende un certo lavoro da te o un familiare sempre bisognoso, ripeti con calma la frase con cui li stai respingendo. E se non cedono, rimani in silenzio, finché non capiscono che non c'è niente da fare.
    Il tuo no è no!
 
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Lavorare troppo fa male e non è produttivo!

Quante volte il nostro capo ci ha chiesto di trattenerci in ufficio per finire un progetto?
Altre volte prolunghiamo l’orario di lavoro in corrispondenza di cene, riunioni, congressi, fiere etc. Siamo stanchi e stressati ed abbiamo la sensazione continua che il lavoro sia il centro della nostra vita e che quindi non c’è più spazio per quella privata.
 
Tutto questo, secondo recenti studi, oltre a fare male alla nostra salute mentale e fisica non è neanche produttivo per il datore di lavoro. 
Una persona ben riposata, lavora meglio di una esausta” lo sostiene Minda Zetlin giornalista di business technology e presidente dell'American Society of Journalists and Authors.
Nel suo articolo pubblicato su Inc.com. “L'assunto da cui partire può sembrare scontato. Ma presi come siamo dal tram tram quotidiano molto spesso ci dimentichiamo di respirare, di recuperare le forze, con conseguenze anche gravi”.
 
E allora che fare?
Può essere utile diminuire le ore di lavoro consentendo agli impiegati di passare più tempo con la propria famiglia piuttosto che fare sport o andare semplicemente al cinema con gli amici? 
 
Secondo gli svedesi si!
Sono  i primi a muoversi in tal senso dando il via ad un progetto/esperimento che prevede un orario ridotto per un gruppo di dipendenti del comune di Göteborg,  che, tuttavia, percepirà la stessa busta paga.
Dunque, se la loro efficienza supererà quella degli altri colleghi, che continueranno a lavorare per 8 ore, il progetto sarà esteso a tutti gli impiegati.
 
Portare a 6 ore la giornata lavorativa
Diminuirebbe le assenze per malattia perché gli impiegati sono più felici ed anche più sani e tutto ciò incentiverebbe la produttività. 
Allo stato, il progetto sta già dando ottimi risultati e alla fine dell’anno probabilmente sarà esteso a tutti i dipendenti. 
Tuttavia, è stata la Toyota di Göteborg la prima a fare questo tipo di esperimento già tredici anni fa, producendo, come risultato, un più basso tasso di avvicendamenti tra i lavoratori e un conseguente incremento sugli utili. 
 
In un paese come l’Italia in cui le ore settimanali sono veramente troppe questa soluzione potrebbe essere non soltanto decisiva per la produttività ma comporterebbe anche un aumento dei posti di lavoro.
 
 
 
 
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